Francesca Ghermandi

 


INTERVISTA A FRANCESCA GHERMANDI Francesca Ghermandi è bolognese, e da dodici anni inventa mondi. Pochissimi fumettisti, nel disastroso panorama attuale, possono infatti vantarsi di riuscire, come lei, a immergere il lettore in un universo indipendente, che si crea, si racconta e reinventa in ogni vignetta. Tre sono le novità che in questi giorni la riguardano: la mostra personale che la galleria Squadro di Bologna, in via Avesella 4/a, le dedica fino al 10 gennaio, in cui sono esposte sue serigrafie e tavole originali a fumetti; le due novità editoriali pubblicate dalla casa editrice bolognese Phoenix, cioé l’attesa uscita in volume delle storie di “Helter Skelter” (Phoenix, 68 pagine in bianco e nero, £ 22 000, prefazione di Tiziano Scarpa, che presenterà il libro con Daniele Brolli il 20 dicembre prossimo, sempre alla galleria), bizzarro gatto-sceriffo di un futuro improbabile, e il fumetto per ragazzi “Rebo” (Phoenix, pp. 20, £ 2000).
Francesca Ghermandi, qual è la storia editoriale di “Helter Skelter”?
Le storie di Helter Skelter sono nate nel 1991 sulla rivista Cyborg. L’idea era quella di realizzare una specie di cartone animato che avesse a che fare con il cyberpunk, da inserire come intermezzo fra le altre storie a fumetti, che riguardavano, diciamo così, la fantascienza seria. In seguito ha vissuto autonomamente. Ora si è finalmente trasformato in un libro anche grazie alle molte richieste dei lettori. In “Helter Skelter” il disegno è più veloce del mio solito e si imposta più sulle figure che sull’interezza della scena.
Quanti personaggi a fumetti hai inventato fino a oggi?
Moltissimi. Mi piace disegnare soprattutto i cattivi, meno i buoni. Di protagonisti ne avrò creati una decina. I primi disegni li pubblicavo sul quotidiano Reporter, nel 1985, ma la prima storia con un protagonista l’ho fatta per Frigidaire: si chiamava Floyd. Poi sono seguiti, nel corso degli anni, Hyawatapete, Joe Indiano, Helter Skelter, Brutus, pubblicati su Frigidaire, Comic Art, La Dolce Vita, Cyborg, Linus. Alcuni sono stati tradotti anche all’estero. Nel 1986 ho iniziato a fare illustrazioni per il Manifesto, un’esperienza per me fondamentale per la sperimentazione sul disegno in bianco e nero.
Hai degli autori di riferimento?
Tantissimi, per quanto riguarda soprattutto le tecniche di disegno, l’inchiostrazione, il colore. Mi ispirano anche molti autori che non hanno a che fare con il fumetto. Be’, Andrea Pazienza è stato certo un motivo d’ispirazione: avevo 14 anni quando lo leggevo sul Male e rimasi folgorata soprattutto dal fatto che le cose potevano essere raccontate in un certo modo. Ecco, mi influenzano soprattutto gli autori che trovano un modo nuovo di raccontare le cose, come Lorenzo Mattotti, per esempio.
E tu hai trovato un modo nuovo di raccontare?
Cerco di trovarlo. Il mio modo di raccontare nasce sempre dal disegno, è all’interno del disegno che trovo atmosfere da cui comincio a raccontare. Le diverse tecniche condizionano molto il risultato, ma in generale le storie che mi piacciono di più sono quelle in cui alla fine ritrovo quell’intuizione precisa da cui ero partita, in cui sono riuscita a realizzare quell’intuizione iniziale. Quello che mi ha spesso fregata è stato fare lavori su commissione, dove non puoi soffermarti più di tanto, ma devi produrre e basta.
E di questo fumetto per bambini, “Rebo”, che cosa ci puoi dire?
“Rebo” esce periodicamente su Atinù, l’inserto per bambini dell’Unità, che adesso viene pubblicato autonomamente. Rebo è un bambino che vive con i suoi giocattoli animati, tutti più seri e responsabili di lui.
Ti interessa il fumetto per ragazzi?
Mi interesserebbe se si potessero dire cose interessanti. Mi sembra che quello che si vende ai bambini sia sempre la stessa pappa, che li si reputi dei cretini. Avevo fatto un progetto tutto mio destinato ai bambini. Era nato per Cuoricino, il supplemento di Cuore per ragazzi, abortito ancor prima di nascere. Linus mi ha comprato la storia che sono stata però costretta a riadattare per un pubblico più adulto. E sono così andata a snaturare un personaggio che avevo progettato in tutt’altra maniera. Cosa di cui mi sono amaramente pentita. Il personaggio era Brutus.
Non è un periodo editorialmente favorevole per il fumetto. Tu che ne pensi?
C’è una crisi generale che ha investito tutti. Penso però che se ci fossero più riviste ci sarebbero più idee, più autori. Io ho sofferto molto per questa crisi perché il lavoro che ho potuto fare corrisponde a circa un decimo di quello che avrei voluto fare. Mi sono spesso trovata a dover pensare storie che non volevo disegnare, storie fatte su commissione per determinate riviste. La crisi non dipende dal pubblico, il pubblico deve essere anche educato all’immagine. Se si investisse con continuità sugli autori, si creerebbe un circolo virtuoso che andrebbe avanti da solo. Ma non c’è interesse da parte degli editori, manca un atteggiamento coraggioso. Cercano sempre la via più sicura e immediata, e questo vale non solo per il fumetto, ma per tutto il mondo dell’immagine. C’è in generale un cattivo gusto, non c’è educazione all’immagine. Bisogna però lavorare sui piccoli editori: sostenere editori come la Phoenix o riviste d’autore come Mano è un buon punto da cui poter ripartire.

Simone Bedetti

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