Dieci domande a Marco Bosco
Ricordi quale è stato il tuo primo incontro con i fumetti?
Il primo in assoluto non lo ricordo. Immagino sia avvenuto intorno ai tre, quattro anni,
quasi sicuramente con un Topolino trovato per casa. Ma ricordo bene quando andai oltre il
"guardare le figure". Avevo cinque anni e mia nonna mi insegnò a leggere usando
il più bel libro di testo del mondo: Topolino, sempre lui. Imparai in una settimana. Da
allora non ho più smesso.
Quali sono stati gli autori e le storie che hai amato di più nella
tua infanzia?
Be', qui ho dei ricordi indelebili e pieni di nostalgia. Anzitutto le storie Disney: le
avventure di Paperone in posti assurdi, i viaggi con quelle macchine pazzesche, gli
"autoctoni" strampalati (opera - l'ho saputo dopo - di Rodolfo Cimino); e poi le
avventure di Topolino, i gialli classici, il tratto inconfondibile di Sergio Asteriti; e
ancora le storie brevi americane, Dinamite Bla, un personaggio geniale. Poi, verso i sei,
sette anni, arriva Tex Willer. Tex mi ha accompagnato per vent'anni. E' un pezzo della mia
vita. Con lui, ma un gradino più sotto, Zagor e Mister No. E poi il primo Alan Ford, il
miglior fumetto nero-umoristico di tutti i tempi. E Sturmtruppen, le strisce americane, i
Peanuts, Beetle Bailey, B. C.
E Mafalda. E Asterix, che scoprii un po' più avanti,
le più belle storie che abbia mai letto. E molti altri ancora.
Come e perché decidesti di diventare un autore di fumetti?
Devo ammettere che da ragazzo non ci ho mai pensato. Allora sognavo di fare il
giornalista. La cosa è maturata in anni recenti. Dopo la laurea (Scienze Politiche, a
Torino), avevo intrapreso la carriera universitaria: dottorato di ricerca (Relazioni
Internazionali, a Padova) e post-dottorato. A questo punto - eravamo nel '94 - dovevo
rimediare un lavoro temporaneo nell'attesa - speravo - del concorso per ricercatore.
Così, rispolvero la vecchia passione. Appreso che la Disney cerca sceneggiatori, affronto
la faccenda alla mia maniera, scientifica: studio a fondo la materia (narratologia,
fumetto, cinema ecc.), tiro giù tre soggetti (terrificanti!) e li spedisco alla redazione
di Topolino. Nessuna risposta, così me ne dimentico. Otto mesi dopo suona il telefono: è
Alessandro Sisti, che sta organizzando il primo corso di sceneggiatura dell'Accademia
Disney e mi propone di partecipare. Dopo averci pensato su (circa 4 centesimi di secondo),
accetto. Quanto alla carriera universitaria, pochi rimpianti. Quella vita seriosa e
rispettabilissima non faceva per me.
A questo proposito, raccontaci qualcosa di più riguardo alla tua
esperienza all'Accademia Disney.
Ne ho un gran bel ricordo. E' stato un corso di alto livello, tenuto da quello
straordinario professionista che è Alessandro Sisti. Sandro possiede una dote rara: la
capacità di insegnare. E' uno dei miei due maestri; l'altra è Elisa Penna, la
leggendaria madrina del mondo Disney. Loro mi hanno insegnato il "mestiere",
l'etica di questo lavoro, l'umiltà di un artigianato nobilissimo. E poi i compagni di
avventura, dieci giovani amici arrivati da ogni parte d'Italia con cui ho condiviso otto
mesi di allegre fatiche. Allora mi dividevo ancora tra fumetti e università; passare da
un convegno con Norberto Bobbio a una discussione su Paperino era come atterrare su un
altro pianeta. Momenti divertentissimi, indimenticabili.
In Italia viene data grande importanza al disegnatore, mentre lo
sceneggiatore troppo spesso passa in secondo piano. Per Marco Bosco, invece, che cos'è la
sceneggiatura?
Tante cose. L'emozione di costruire una storia tua, che prima non esisteva, che solo tu
puoi far vivere. La fatica, tanta: ore passate a soffrire fissando il vuoto, a macerarsi
nell'angoscia, finché un'idea spunta da chissà dove e gli occhi ti si illuminano. Il
lavoro attento, dettagliato, spietato della costruzione. La ricerca di una solidità
strutturale, della perfezione matematica. La sfida con il lettore, immaginare gli sguardi
dei bambini che ti leggeranno, stupirli con una sorpresa, inventare una gag che li faccia
sorridere. L'ultima lettura a lavoro finito, stampare la sceneggiatura, averla tra le
mani, il respiro di sollievo, in pace col mondo. L'attesa paziente che la storia venga
pubblicata, scoprire come il disegnatore ha tradotto i tuoi pensieri, incazzarsi con lui,
stupirsi per come ha migliorato il tuo lavoro. La soddisfazione per aver lavorato
onestamente, fatto del tuo meglio, dato il tuo contributo. La speranza di aver regalato
qualcosa a qualcuno, per quel poco che si può.
Puoi dirci qual'è la tua tecnica di lavoro?
Certamente. Parto sempre da un'idea. La mia tecnica è sedermi alla scrivania e spremere
le meningi allo spasimo, finché il subconscio partorisce. Quando l'idea buona arriva, la
riconosci subito: è il lampo che squarcia le tenebre. Per entrare in pressione mi ci
vogliono due o tre giorni. Un paio di volte sono andato in "blocco" ed è stato
terribile; due anni fa ho passato un intero mese senza riuscire a scrivere una riga. Poi,
ogni tanto, l'idea ti piove da cielo (la battuta di un dj alla radio, un tipo strano alla
fermata del tram); in questi (rari) casi, prendi al volo e ringrazi. Sull'idea costruisco
la storia, in forma di soggetto lungo o trattamento. Poi riduco il tutto a soggetto breve,
una cartella, che presenterò in redazione. Per la sceneggiatura, calcolo il numero di
vignette necessarie alla lunghezza stimata della storia (per esempio, venti tavole sono
circa cento vignette complessive, a una media di cinque a tavola) e le butto giù in
sequenza continua (senza preoccuparmi troppo della scansione in tavole e dei giri-pagina).
Da ultimo faccio l'assemblaggio delle vignette, che di norma si sistemano da sole (cioè
vanno a inserirsi perfettamente nella scansione delle tavole). Questo mi dà conferma che
la storia ha il ritmo giusto, che funziona, che ho lavorato bene.
Quali sono gli argomenti e i personaggi che prediligi?
Ciò che amo di più è lavorare sui sentimenti. Sono convinto che il fumetto - almeno, un
certo tipo di fumetto - e la letteratura abbiano la stessa ragione d'essere: l'infinita
ricerca sulla natura umana. E i personaggi Disney possiedono un'umanità straordinaria. E'
la loro forza, ciò che li fa amare da generazioni di lettori. Così, cerco di scavare
nella psicologia dei personaggi, di inventare situazioni che portino alla luce questa
carica umana. E nel far ciò mi sforzo di creare storie intelligenti, che offrano ai
bambini l'occasione di riflettere - nel nostro piccolo, s'intende - sui grandi temi della
vita. Quando ci riesco (non sempre, purtroppo), mi sento soddisfatto. Quanto ai personaggi
che prediligo, direi senz'altro Topolino, Paperino, Pippo, Zio Paperone, Qui, Quo e Qua,
Paperina, Ciccio, Nonna Papera, Orazio, i Bassotti, Cip e Ciop, Pluto, Clarabella e
Rockerduck. Più tutti quelli che ho dimenticato.
Quali sono gli autori che ammiri maggiormente?
Tra gli artisti del fumetto pittorico ho una passione per Enki Bilal. Passando ad altro
genere, adoro Binet e la sua satira micidiale: Les Bidochon (purtroppo, malamente tradotti
in Italia) sono formidabili. Le Génie des Alpages di F'Murr è un fumetto francese che
credo sconosciuto qui da noi, di straordinaria intelligenza. Ovviamente, il grande Magnus.
Giovanni Ticci, il miglior Tex di ogni tempo. Sul fronte delle strips, citazione doverosa
per Schulz, Quino e Watterson, il trio del millennio. Tra gli sceneggiatori classici,
Gianluigi Bonelli è il mito indiscusso; dopo di lui, René Goscinny.
Per i Disney, anzitutto Carl Barks. Poi, tra i disegnatori, Cavazzano, Coppola, Massimo De
Vita, Mastantuono e Tosolini. Quanto agli sceneggiatori, sarebbe un elenco troppo lungo:
li ho studiati tutti, da tutti ho imparato. Mi limito a citarne uno: Augusto Macchetto,
carissimo amico, ovvero la storia disneyana fatta poesia, uno dei grandi in assoluto. E
poi c'è Silvia Ziche, un discorso a parte: Silvia è la dolcezza del genio, la grazia del
talento smisurato; pochi sanno vedere ciò che lei vede, solo lei sa disegnarlo.
Secondo te cosa bisogna fare per rilanciare e dare dignità
artistica al fumetto in Italia?
E' una domanda troppo complessa. In tutta sincerità non me la sento di dare delle
risposte efficaci.
Per concludere, quali sono le tue aspirazioni (nei fumetti).
Intanto mi piacerebbe continuare a farli, i fumetti. E qui apriamo un discorso doloroso,
perché oggi in Italia (ma credo anche altrove) vivere di sole sceneggiature è privilegio
di pochissimi. A questo proposito, è triste costatare come la categoria fumettara si
distingua per una sensibilità sindacale prossima allo zero. Possibile che non ci si possa
organizzare per far valere i nostri diritti, mettere insieme un fondo pensione,
rivendicare compensi degni delle nostre fatiche? Così, al momento la mia preoccupazione
è trovare un lavoro stabile, che mi permetta di continuare a scrivere un po' più
tranquillamente. E in futuro
si vedrà.
© 1999 - Marco Della Croce