Intervista a Carlo Panaro
(© di Marco Della Croce e Danilo Francescano per l'agenzia Anonima Fumetti News)

31 - 1 - 1998

Raccontaci quale è stato il tuo incontro con i comics

La mia passione per i fumetti risale fin da bambino, complici i miei genitori che mi acquistavano molti giornalini, raccontandomene poi le storie. Ma fu solo nel 1967, dopo aver avuto tra le mani "Topolino e il Mostro" (un meraviglioso minilibro illustrato da Onofrio Bramante), che decisi di diventare un collezionista disneyano. Fu così che io e mia sorella Patrizia, anch’essa appassionata di fumetti, decidemmo di acquistare non solo il Topolino settimanale, ma anche gli Albi, l’Almanacco e i Classici, scambiandoci poi le rispettive collezioni. E non basta, perché negli anni successivi iniziai a leggere anche Geppo, Trottolino, Soldino, Felix, Braccio di Ferro e il Corriere dei Piccoli.

Ci sembra di capire che le tue preferenze si diressero fin da subito verso il fumetto umoristico italiano...

Esattamente! Negli anni successivi cercai di avvicinarmi anche all’avventura verista, soprattutto con le pubblicazioni Bonelli, ma la mia predilezione per il genere comico rimase, e rimane tuttora, assolutamente inalterata.

Ti ricordi quale fu il momento in cui decidesti di diventare un autore di comics?

Gaudenzio Capelli, una volta, mi disse che, senza saperlo, io facevo lo sceneggiatore di fumetti fin da quando avevo sette anni; in effetti mi è sempre piaciuto inventare delle storie, anche se fu solo verso la fine degli anni Sessanta, quando cioè m’imbattei in "Zio Paperone e l'amuleto su misura", una storia pubblicata sugli Albi di Topolino, che rimasi folgorato: quel racconto era un capolavoro di comicità e, dopo averlo riletto molteplici volte, desiderai ardentemente di emulare l’artista che lo aveva scritto; fu probabilmente allora che, inconsciamente, decisi che il mio mondo sarebbe stato quello dei fumetti. Per inciso quella storia era stata scritta da Carlo Chendi e disegnata da Romano Scarpa, artisti che ho sempre ammirato e che sono da considerarsi, a tutti gli effetti, gli involontari responsabili della mia carriera di autore disneyano. Negli anni successivi, parallelamente alla scoperta delle vecchie storie di gente come Scarpa, Carpi, Chendi, Cimino, Martina e Bottaro, e alla mia meraviglia di fronte alla strabiliante "Storia e gloria della dinastia dei paperi", cresceva in me la voglia di "fare" i fumetti. Cominciai allora a riempire moltissimi quaderni di mie storie, a volte disegnate (anche se non brillantemente), altre soltanto scritte, in cui i protagonisti erano personaggi disneyani e non.

Raccontaci come arrivasti a pubblicare la tua prima sceneggiatura

Un giorno (erano i primi anni Ottanta) decisi di scrivere a Marco Rota, allora caporedattore di Topolino, uno degli artisti che ho sempre apprezzato maggiormente; nella lettera, oltre a manifestargli tutta la mia ammirazione, gli chiesi gentilmente un suo disegno e dei consigli pratici per poter proporre dei miei soggetti alla Disney. Potete immaginare la mia sorpresa e la mia gioia quando mi vidi recapitare a casa il suo lavoro preparatorio (a matita) della copertina del Classico "Topolino Express", accanto a un esplicito invito a telefonare in redazione, cosa che feci immediatamente; parlai con Massimo Marconi, che aveva da poco rilevato il compianto Franco Fossati alla guida delle sceneggiature, il quale mi invitò a Milano, dove, dopo avergli esposto alcune mie idee, mi diede un suo lavoro, sul quale mi sarei dovuto esercitare. Devo dire che questa prima prova ebbe un successo immediato: non solo Marconi apprezzò moltissimo il mio sforzo, ma me ne assicurò la pubblicazione: era "Zio Paperone e il cibo del futuro", la mia prima storia in assoluto, che tuttavia uscì dopo altri miei lavori successivi; il mio primo fumetto pubblicato fu infatti "Topolino e il mistero ortofrutticolo", che uscì in edicola l’8 giugno 1986.

In tredici anni di attività hai scritto qualcosa come 250 sceneggiature, cosa che fa’ di te uno dei più prolifici sceneggiatori disneyani di tutti i tempi. Siamo curiosi di sapere quale è il tuo metodo di lavoro, quali sono i tuoi tempi, ecc.

Il mio modo di lavorare è molto semplice: quando mi viene un’idea cerco di fissarne immediatamente i punti centrali, dopodiché comincio a pensarci per qualche giorno; una volta che ho intavolato mentalmente il soggetto, lo scrivo a penna, per poi lasciarlo decantare ancora qualche tempo; devo dire che ho alcuni lavori che rimangono nel cassetto anche 4-5 anni, durante i quali li sottopongo a diverse modifiche e nuove stesure, fino a quando non sono assolutamente convinto della bontà della storia. A questo punto, dopo che il soggetto è stato proposto e ha ricevuto il via libera dalla redazione, ne scrivo la sceneggiatura, lavorando full-immersion per una settimana circa e, solo dopo averla riletta e riguardata attentamente, considero conclusa la mia fatica.

E da un punto di vista più strettamente tecnico?

Per quanto riguarda gli inizi devo moltissimo a Massimo Marconi, che mi ha insegnato i principi del mestiere, mentre negli anni successivi, da vero autodidatta, ho cercato di fare tesoro dell’esperienza e di quello che significa essere uno sceneggiatore disneyano: in effetti, se uno conoscesse in anticipo a quale disegnatore sarà affidato il lavoro, si potrebbe cercare di adattare le proprie storie ai suoi gusti, ma, purtroppo, non sapendolo quasi mai, negli anni mi sono trovato a realizzare un tipo di sceneggiatura standard, molto asciutta, limitandomi a poche descrizioni ambientali e a dialoghi brevi e secchi, così da dare il massimo della libertà creativa all’artista di turno.

Quali sono le tue fonti di documentazione?

Assolutamente comuni: leggo molto, guardo parecchi film (soprattutto americani degli anni Quaranta e Cinquanta), ma è soprattutto l’attenta osservazione della realtà che mi fornisce idee e spunti a ripetizione. Questo fatto si riflette, ovviamente, anche nella scelta delle tematiche dei miei soggetti che, come tutti sanno, riguardano preferenzialmente le situation comedy, anche se devo confessare che due tra i miei lavori che preferisco sono "Zio paperone e la formula della ricchezza", e "Topolino e il cavaliere senza tempo", due storie, queste, che si discostano significativamente dalle ambientazioni che prediligo.

Parlaci dei tuoi artisti preferiti

Come autori completi, in assoluto, Carl Barks, Floyd Gottfredson, Don Rosa (anche se non è ancora ai livelli del Maestro dell'Oregon) e Romano Scarpa, al quale ho sempre cercato di rifarmi e che ho avuto la fortuna (e la grande emozione) di conoscere solo nel 1991. Tra gli sceneggiatori puri, invece, ho una grande ammirazione, oltre che per Carlo Chendi, anche per Guido Martina e Rodolfo Cimino. Tra i disegnatori, infine, vorrei ricordare Giovan Battista Carpi, Giorgio Cavazzano, Luciano Gatto, Massimo De Vita e Guido Scala, accanto ad artisti più giovani, come, fra gli altri, Andrea Ferraris, Claudio Panarese e Corrado Mastantuono, con i quali, per altro, collaboro molto spesso e volentieri.

Per concludere, dicci cosa ti piacerebbe che i lettori dicessero di te

La mia ambizione è quella di raccontare delle storie che possano piacere sia ai bambini che agli adulti, per cui cerco sempre di rendere i miei soggetti interpretabili attraverso molteplici chiavi di lettura. Alcuni miei lavori, infatti, parlano esplicitamente di temi come la disoccupazione, la corruzione, l’emarginazione e gli handicap, argomenti decisamente impegnativi, destinati a un lettore maturo, anche se ho cercato di alleggerirne la forma allo scopo di renderli fruibili anche al pubblico più giovane. Devo dire che quando riesco a realizzare bene questa difficile sintesi, come ad esempio in "Topolino e l’incarico molto speciale" e in "Topolino e l’uomo dei sogni", mi ritengo molto soddisfatto.

Box - Chi è Carlo Panaro

Carlo Panaro nasce a La Spezia l’8 dicembre 1962. Diplomato in ragioneria, autore di oltre 250 sceneggiature, esordisce nel 1986 con la storia "Topolino e il mistero ortofrutticolo" [Uggetti-Colantuoni T 1593]. Grande ammirazione e stima reciproche lo legano da sempre a Romano Scarpa, per il quale ha sceneggiato ben dodici storie negli ultimi dieci anni, fra cui la lunghissima (99 tavole) "Chi ha rubato Topolino 2000?" [T 1996-2000]. Anche se, per sua stessa ammissione, predilige la sit-comedy, Carlo Panaro ha spaziato, in tredici anni di carriera, in tutti i generi, come le parodie ("Paperinik e il tempio indiano" [Santillo T 1794]), la fiaba ("I sette nani e il patto della Regina’ [Gatto T 1935-37]) e l’attualità ("Topolino e l’incarico molto speciale" [Dalla Santa T 1963]). All’autore spezzino piace spesso inserire riferimenti a storie e situazioni del passato (soprattutto di Barks e Scarpa), oltre a inventare nuovi characters (Pierino e Pieretto, nipoti di Gambadilegno), o a riscoprirne altri ormai quasi dimenticati (Nonna Peppa).

(Con l'occasione segnaliamo che la storia "Topolino e il giornalismo di campagna" T. 2159, disegnata da GB Carpi, attribuita erroneamente a Fabio Michelini, è invece di Carlo Panaro; parimenti è sua la storia "Topolino solo contro tutti" T. 2191, disegnata da Ferraris, erroneamente attribuita a suo tempo a Pandini/Comicup.)