Bruno Sarda - zoom inINTERVISTA A BRUNO SARDA

di Marco Della Croce
(selezione immagini G.Goria)

 


 

Per cominciare raccontaci quando è stato il tuo primo incontro con i comics...

zoom inCorriere dei Ragazzi - zoom inHo incontrato i fumetti molto presto, diciamo intorno alla fine degli anni Cinquanta; a quell'epoca non sapevo ancora leggere, ma per fortuna mia sorella, più grande di me di sei anni, mi raccontava le storie del Corriere dei Piccoli, di cui già avidamente sfogliavo le figure. Ricordo che, in seguito, la voglia di andare a scuola e imparare a leggere era perlopiù dovuta al fatto che finalmente avrei potuto leggermi i fumetti da solo.

 

Quali erano gli autori e le storie che ti piacevano di più da bambino?

Marmittone - zoom inI Puffi Neri - zoom inCome appena ricordato, le mie prime storie sono state quelle del Corriere dei Piccoli degli anni Sessanta, dove ancora comparivano le rime baciate e le filastrocche di Gibernetta (il militare buono alle prese col cattivissimo Marmittone, sergente antesignano di Un ufficiale gentiluomo con Richard Gere) e le ultime storie di Bonaventura più, ovviamente, i primi fumetti (che ho scoperto in seguito appartenere alla scuola franco-belga) di Poldino (Benoit Brisefer) by PeyoMignolino e Clorofilla, Poldino Spaccaferro (il bambino fortissimo come un Ercole che col raffreddore perdeva la sua superforza) e, naturalmente, i Puffi. Michel Vaillant - zoom inA proposito della scuola franco-belga ricordo che da ragazzino mi piaceva tutto di quanto veniva pubblicato in Italia da loro; penso ai mitici Classici dell’Audacia con Michel Vaillant e Dan Cooper per poi arrivare a Blueberry che, già diciottenne, andavo a comperare a Nizza scritto in francese perché qui in Italia non si trovava più.

Infine, tra tanti Tex e Zagor, non mancava ovviamente Topolino. L'unghia di Kali by Romano Scarpa - zoom inIn quel periodo non sapevo minimamente chi fossero Barks o Scarpa, però sono due storie di questi autori che ho bene in testa sin da ragazzino: del primo ricordo Zio Paperone e l'oro degli Incas dove, sullo stile di Ombre Rosse, gli indiani compaiono solo alla fine, mentre del secondo rimasi colpito dalla splendida Topolino e l'unghia di Kalì.

 

Come e perché decidesti di diventare un autore di fumetti?

Devi sapere che fin da ragazzino, mentre aspettavo l’uscita della puntata successiva di una serie, mi divertivo a immaginare cosa sarebbe successo la settimana seguente. Sono convinto che, in questo modo, abbia imparato a scrivere le storie, adattandomi a modificare la trama di quanto avevo inventato mano a mano che le puntate si susseguivano. Comunque, fino a venticinque anni non avevo mai pensato seriamente di scrivere; avevo un sicuro lavoro in banca e volevo anche laurearmi. Poi, sarà per la noia della banca, sarà perché ho scoperto che le storie di Topolino venivano fatte in Italia, ho cominciato a stilare alcuni soggetti. Inizialmente li scrivevo per me, senza indirizzarli a nessuno, poi, preso coraggio, ne spedii un paio alla Bonelli (sono sempre stato un nolittiano convinto), dalla quale ebbi giudizi incoraggianti, anche se non del tutto positivi (nel senso che furono scartati!), finché un giorno, in occasione di un incontro col pubblico, appioppai di persona al compianto Franco Fossati (allora caposervizio sceneggiature di Topolino) alcuni miei soggetti dattiloscritti. Mi promise che li avrebbe letti in treno e il mese dopo, quando ormai non ci speravo più, mi telefonò dicendomi che, anche se non andavano bene, su alcuni di essi ci si sarebbe potuto lavorare sopra. Fu così che mi invitò comunque in redazione alla Mondadori a Milano dove riuscimmo a salvare uno di questi soggetti che, per altro, uscì ben due anni dopo, quando ormai avevo già pubblicato altre tre mie storie! Subito dopo l'approvazione Fossati fu infatti sostituito da Massimo Marconi, per cui dovetti aspettare altri mesi perché il nuovo caposervizio rivedesse i miei lavori approvati dal suo precedessore. Fu quello un momento di crisi, perché mi ritrovai ancora "sotto esame" proprio quando mi ero convinto di essere già "arrivato". Poi finalmente, arrivò la telefonata di Marconi e fu l’inizio di una splendida collaborazione che mi portò, nell’arco di alcuni anni, a realizzare più di cento storie disneyane. Sono davvero grato a Massimo, dal momento che con i suoi preziosi consigli mi ha aiutato tantissimo a crescere, da semplice autodidatta alle prime armi ad autore completo; quando andavi là con un soggetto, spesso ritornavi a casa con un altro completamente stravolto…cosa che ovviamente ti mandava in crisi. Poi, quando cominciavi a sceneggiare la storia, ti accorgevi che i punti suggeriti da Massimo erano quelli che davano spessore alla storia o la rendevano maggiormente comica.

 

Svelaci i tuoi segreti: quali sono i tuoi metodi, la tua tecnica e le tue fonti di documentazione?

Nell'elaborazione di una storia il momento drammatico è "trovare l’idea", tutto il resto, se vogliamo, è "mestiere". L’idea infatti viene quando vuole e puoi anche stare tutto il giorno seduto al tavolino e ritrovarti col classico foglio bianco o la decina di fogli scritti buttati immancabilmente nel cestino. Se l’idea non arriva da sola, allora cerco di aiutarmi noleggiando alcuni film d’avventura o leggendo svariati fumetti che possano suggerirmi una situazione o un’atmosfera che possa dare il "la" alla mia storia. Una volta trovato questo benedetto spunto, comincio a lavorarci sopra, sviluppandolo e trasformandolo in un soggetto (due-tre cartelle) che poi porto a Milano per sottoporlo "ai raggi x" del team redazionale. Qui, immancabilmente, saltano fuori i lati deboli della trama: quel soggetto che sul monitor del tuo computer ti pareva perfetto, ora ti accorgi che ha parecchie pecche, per cui diventa necessaria una ridiscussione; questo forse è il momento più stimolante perché in un continuo scambio di idee tra te e la brava Barbara Schwartz (generalmente la mia interlocutrice in redazione), si riesce quasi sempre a trovare la soluzione giusta e il soggetto può finalmente trasformarsi in sceneggiatura.

 

Tu sei famoso anche per essere il creatore di un personaggio molto popolare e affascinante, vale a dire Indiana Pipps. Puoi raccontarci com'è nato?

Indiana Pipps by Bruno Sarda & Massimo De VitaE' già da un po' che molti critici sottolineano come Topolino, con il passare degli anni, si sia "imborghesito": non si butta più a capofitto nell’avventura, partecipa a indagini poliziesche solo se ufficilamente invitato dalla polizia e così via. Forse sono critiche un po’ superficiali, ma qualcosa di vero c’è. Faccio un esempio: se voglio mandare Paperone all’altro capo del mondo, basta fargli credere che laggiù c’è un tesoro o una possibilità di arricchirsi. Per l’altruista Topolino le cose si complicano, perché la molla dell’arricchimento personale non basta e se deve scoprire un mistero lo fa, generalmente, per conto terzi (macchina del tempo di Zapotec o cose di questo tipo). Indiana Pipps nasceva anche per cercare di dare al nostro amato topo una "spalla" convincente che lo costringesse a partecipare nuovamente alle più impensate e spericolate avventure. Il cugino di Pippo, infatti, oltre ad arricchire i comprimari piuttosto scarsi della famiglia dei Topi (al contrario di quella dei Paperi), riesce sempre a coinvolgere l’eroe disneyano con la forza di un ciclone rispolverandone le doti avventurose. Con il passare del tempo il rapporto tra Indiana e Topolino si è come ribaltato, nel senso che è ora quest'ultimo ad essere diventato la spalla del primo, ma a ben vedere questo fatto rende Topolino ancora più simpatico ai lettori, in quanto più umano e meno "perfettino".

Indiana è il protagonista ideale di tutte quelle storie che confinano tra le avventure alla Martin Mystère (il vero ispiratore del mio personaggio) e quelle televisive di X file; il tutto ovviamente riletto in chiave disneyana con tutte le limitazioni (non ci sono morti, eccetera…) ma anche gli arricchimenti della storia, dove sono possibili gag altrimenti impensabili al di fuori di questo mondo.

 

In futuro come intendi sviluppare questo personaggio?

Beh…il fatto che le prime storie fossero fatte soltanto da me (o dal grande Massimo De Vita), mentre ora ne spuntano quasi mensilmente a firma dei più svariati sceneggiatori, dà un po’ una risposta alla domanda. Il personaggio pare piaccia non solo ai lettori, ma (ed è la cosa che mi dà più soddisfazione) anche agli addetti ai lavori che hanno imparato a utilizzarlo come protagonista delle loro storie. Per quanto mi riguarda mi sforzerò di utilizzare Indiana Pipps solo in alcune storie "mysteriose" adatte a lui e, proprio per non inflazionarlo, vorrei limitarmi a tre-quattro episodi l’anno.

 

Dicci la verità: chi preferisci tra i paperi e i topi?

In genere non ho preferenze tra uno e l’altro anche perché è il tipo di storia che mi viene in mente a dettarmi l’abbinamento con una "famiglia" o l’altra e quasi mai avviene il contrario.

Una storia particolarmente comica che può dare spunto a varie gag, vede immediatamente come attore ideale Paperino, magari con l’appoggio di quel combinaguai di Paperoga. Una trama misteriosa o gialla vede meglio come interprete principale Topolino. Qualche volta (e nelle mie duecento sceneggiature disneyane mi è già successo) invertire gli attori può dar luogo a storie altrettanto gustose; una storia con Topolino pasticcione involontario è decisamente più comica che con Paperino; per contro una storia gialla con Paperino investigatore può essere molto più succosa (in quanto imprevedibile e con risvolti comici) di una con l’interprete classico Topolino. In sostanza, quindi, non esistono regole… e meno male che è così, visto che questo è un lavoro creativo.

 

A quali fra le oltre duecento sceneggiature che hai scritto finora ti senti più legato?

Beh, a parte Alla ricerca della Pietra Zodiacale, la più lunga storia Disney finora pubblicata - 12 puntate di 28-30 tavole l’una -, ritengo che i miei lavori più riusciti siano essenzialmente due: il primo è Tre paperi e un bebé, con Paperino, Paperoga e Gastone alle prese con una paperotta, proprio come i tre "uomini" del film; il secondo è i Promessi Topi dove, mi sono venute di getto e senza fatica una serie di gag e di situazioni comiche che han fatto di questa storia in tre puntate la mia preferita; e proprio di questa parodia ho ricevuto il più bel complimento in redazione “Perché l’hai fatta solo in tre puntate? Dovevi almeno farne una in più!

 

Quali sono i disegnatori e gli sceneggiatori che preferisci?

Non ho dubbi: i due autori completi che maggiormente ammiro sono lo Scarpa degli anni Sessanta e Massimo De Vita, di cui amo non solo il disegno, ma anche la sua grande capacità di raccontare una storia. Tra gli sceneggiatori professionisti mi è invece difficile fare una graduatoria, anche perché non vorrei scontentare nessuno dei miei numerosi amici e colleghi; se proprio dovessi citarne uno direi il veterano Bruno Concina, in grado di scrivere storie molto dissimili una dall’altra sia come intreccio che come trama, avendo come unico tratto comune una visione molto romantica dei personaggi.

 

E in campo extradisneyano?

Ripeto la mia passione per il fumetto franco-belga, limitandomi a dire che possiedo tutti i fumetti cartonati di Bernard Prince, Ric Roland e Blueberry. Restando in campo western adoravo il Ken Parker di Berardi (di cui ho l’intera collezione) e ovviamente leggo sempre il Martin Mystère del grande Castelli.

 

Per concludere, dacci la tua opinione sulla situazione attuale del fumetto in Italia.

Su questa domanda ammetto di essere leggermente pessimista. Se è vero che in Europa e in Italia accade con decenni di ritardo quanto avviene oggi in America, c’è sinceramente da preoccuparsi sulla sorte del fumetto. Diciamo che l’Italia rappresenta nella stessa Europa ancora un isola felice. Certo, le mitiche tirature degli anni Sessanta e Settanta di Topolino sono finite, ma dobbiamo tenere conto che allora non c’erano programmi o cartoni animati per ragazzi ad ogni ora del giorno che facevano concorrenza al fumetto. Per contro, andando nelle scuole a parlare di fumetti, ho trovato dei ragazzini preparatissimi che conoscevano meglio di me, che le avevo scritte, alcune battute delle mie storie... segno che il fumetto è ancora vivo.

Che fare per rivitalizzarlo ancora di più? Beh…è difficile dare una risposta. Dire che basta la qualità è un po’ troppo semplice, perché il fumetto deve lottare contro mezzi di comunicazione troppo più grandi di lui e la sola qualità non potrebbe bastare. Occorrono per la verità anche editori che sappiano sperimentare nuove vie dando spazio a nuovi autori.

Per quel che riguarda il fumetto umoristico - e alla Disney in particolare -, direi che ce la stiamo già mettendo tutta e che se si pensa che ogni anno compaiono sul solo Topolino oltre 250 storie nuove… oserei dire che i miei colleghi fanno quasi miracoli per tenere desto il fumeto umoristico.


CHI E' BRUNO SARDA

 

Nato a Torino il 29 settembre 1954, laureato in Scienze Politiche, Bruno Sarda è considerato (a giusta ragione) uno dei più bravi, versatili e prolifici sceneggiatori disneyani. Dalla sua storia di esordio, Paperino e… il rivale di Paperinik, (Topolino 1619, 7 dicembre 1986, disegni di Cavazzano), Sarda ha scritto oltre duecento sceneggiature, tra cui diverse parodie, come Topolino e il nome della mimosa (Topolino 1693, 8 maggio 1988, disegni di Ubezio) e Tre paperi e un bebé (Topolino 1730, 22 gennaio 1989, disegni di De Vita), oltre a storie memorabili come Alla ricerca della Pietra Zodiacale, la più lunga storia disneyana (Topolino 1780-1791, disegni di De Vita - 8 puntate - e di Valussi - 4 puntate -) mai pubblicata. Creatore di Indiana Pipps, il cugino avventuroso di Pippo che fa il verso a Indiana Jones (prima apparizione in Topolino e Pippo e i predatori del tempio perduto (Topolino 1750, 11 giugno 1989, disegni di De Vita), e, in campo extra-disneyano, di Alan Dog, un alano antropomorfo che fa il verso al suo più famoso omonimo Dylan (disegni di Vittorio Pavesio), Bruno Sarda ha al suo attivo anche impegni in campo pubblicitario e collaborazioni saltuarie con il mondo dei cartoni animati.