E’ interessante
notare come cambino gli atteggiamenti collettivi con il mutare lento
della società. L’inquietante lupo di Cappuccetto Rosso (favola più
volte rivisitata in chiave dissacrante, anche da grandi autori) fa
fatica ad essere integralmente riproposto oggi, ai nostri bambini
che sono ormai abituati a sentire parlare di questo splendido
abitante dei boschi come di un essere da proteggere, piuttosto che
da squartare per estrarne nonne indifese... Eppure, fino a non
molti anni fa, il lupo faceva a gara con «l’uomo nero», e altre
amenità del genere, nel tentativo degli adulti di incutere un certo
«salutare terrore» nelle menti ignare dei cuccioli d’uomo. Prima
nelle «Fiabe» di Perrault (Le petit Chaperon Rouge, dove Cappuccetto
Rosso finisce senza scampo nella pancia del lupo) e poi nelle «Fiabe
del focolare» dei Grimm (Rotkappchen, dove invece viene estratta
dall’intervento del cacciatore), il lupo appare nel suo ruolo di
mostro del bosco, ad uso di una società perbenista che utilizzava
paura e violenza con intenti apparentemente (e forse falsamente)
pedagogici, che ben si prestano ad analisi psicanalitiche. Cosa
ha fatto cambiare così radicalmente il nostro modo di pensare?
Sociologi, psicologi e altri illustri studiosi del pensiero umano
potrebbero citare svariate cause, dal passaggio campagna/città, alla
«coscienza ecologica» (tutt’altro che scontata, purtroppo, e
comunque frutto di anni e anni di faticose lotte), o altro ancora. A
chi per professione fa il racconta-storie usando semplicemente carta
e inchiostro, piacerebbe pensare di aver dato, negli anni, un
ulteriore, vitale se non essenziale, contributo al capovolgimento
delle posizioni per favorire una mentalità più disponibile a
verificare anche le ragioni altrui. In effetti, considerando che
dobbiamo arrivare quasi agli anni ottanta prima che il lupo, a
livello di pensiero popolare, perda la sua connotazione
artificiosamente malvagia (è noto che «buono» e «cattivo» sono
aggettivi validi solo per gli esseri umani), è molto probabile che
alcuni personaggi dei fumetti abbiano avuto una certa influenza.
Anzitutto dobbiamo confermare che il fumetto in sé, come linguaggio
altamente comunicativo, ha una grandissima e accertata capacità di
penetrazione psicologica e stimolazione intellettuale. Ecco allora
che il luposki della steppaff, il Lupo Pugaciòff, creato dal
fumettista Giorgio Rebuffi nel 1959, ha sicuramente cominciato a
tracciare nuovi solchi psicologici nei ragazzini del primo
dopoguerra. Un lupo aggressivo, tenace, irascibile e coraggioso, che
diventa rapidamente un eroe di carta, atipico rispetto al periodo,
che ancora vedeva trionfare eroi «positivi» e tranquillizzanti.
Pugaciòff invade lentamente il terreno di Cucciolo e Beppe
(l’alternativa italiana a Topolino e Pippo, purtroppo stroncata,
anni dopo, da una concorrenza troppo potente), eroi nostrani di un
fumetto umoristico ancora un poco casereccio, fino a scatenare una
simpatia in parte dovuta proprio alla carica di istintiva
aggressività del personaggio e alla sua carica positivamente
contestatrice e avversa a ogni perbenismo qualunquista.
L’aggressività in fondo è anche alla base della calorosa
partecipazione del pubblico nei confronti di un altro «lupoide»,
Ralph Wolf, eroe, affamato quanto sfortunato, dei cartoni animati
della Warner bros, che con ingegnosissimi seppur inefficaci sistemi
cerca di appropriarsi delle pecore custodite da Sam Sheepdog, il
cagnone che, con lui timbra la cartolina sera e mattina. Nel fumetto
(e nell’animazione) disneyana il luogo comune del «lupo cattivo» è
durato a lungo, come una quantità di altri luoghi comuni
maldestramente legati al mondo degli animali (e un certo
atteggiamento antropocentrico e sdolcinatamente «buonista a misura
d’uomo», denunciato da scienziati come Giorgio Celli in quanto
altamente dannoso per gli effetti «rincitrullenti» sui bambini e sul
loro rapporto con gli animali...). Solo nel settore del fumetto
(poco curato, invero, in quanto assai meno redditizio del cinema) il
lupo Ezechiele (the Big Bad Wolf, del 1933) vede ridimensionato lo
stereotipo del lupo cattivo mangiaporcelli dall’arrivo del figlio
Lupetto (Li’l Bad Wolf), vero tormento del padre, in quanto dolce,
studioso, intelligente e, addirittura, amico dei tre porcellini!
Eppure la bontà associata per contrasto al lupo arriva, anni dopo,
anche nell’animazione, per quanto solo televisiva, con Lupo De’
Lupis (Loopy De Loop, 1959) «il lupo buonino» della Hanna e Barbera,
star degli anni sessanta che cerca inutilmente di convincere gli
umani che i lupi non sono cattivi, proprio mentre in Italia il Lupo
Pugaciòff si fa forte, al contrario, della propria natura tutt’altro
che arrendevole. Lupo De’ Lupis sembra il contraltare di
Ezechiele: anch’egli ha un piccolo (nipote, in questo caso) con sé
(Bon Bon) che, pur assomigliandogli molto esteriormente, ha invece
il carattere «cattivo» tradizionalmente attribuito in quegli anni al
nostro animale del bosco. |
Pugaciòff |
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Che per la
Disney il lupo sia un animale cattivo lo dimostra, nel 1946, anche
l’ottima versione animata di Pierino e il Lupo (ispirato alle
musiche di Sergej Prokofiev), in cui si presenta con una tale
ferocia da far paura ai bambini. Anche molti altri autori
italiani hanno rappresentato dei lupi nella loro lunga carriera. Mi
limito a citare il Lupo antropomorfo di Gino Gavioli e il Lupettino
di Castellari, ma non c’è dubbio che pugaciòff sia rimasto
indelebilmente nella memoria dei lettori per la sua particolarissima
e forte personalità, tant’è vero che è oggi nuovamente oggetto di
revival in diversi bei libri recentemente usciti nelle edizioni
Vittorio Pavesio Productions. Ben diverso, fu infatti l’approccio
italiano di Rebuffi col suo Pugaciòff, non sdolcinato come De’ Lupis
ma neppure crudele come Ezechiele, e che può degnamente stringere la
mano, in quanto a forza di carattere, all’altro irresistibile lupo
del cinema d’animazione di Tex Avery, Wolfy (del 1942), noto per la
sua insaziabile fame, anche, e forse soprattutto, sessuale, espressa
in cartoon velocissimi e straripanti di gag. Perfino la saltuaria
apparizione di lupi mannari di vario genere in Dylan Dog (il
personaggio creato da Tiziano Sclavi per la Sergio Bonelli Editore
nel 1986 e divenuto rapidamente un autentico fenomeno di costume in
Italia), per quanto legato al genere del fumetto realistico di tipo
horror, tradisce, tutto sommato, una certa simpatia di fondo per il
«carattere» che la «forma-lupo» conferisce alla «vittima» di questa
orrorifica mutazione. Tutto sommato è perfettamente comprensibile
che da un lupo ci si aspetti un certa grinta. Non è certo un
animaletto remissivo nella nostra immaginazione che, anzi, lo vede
dominatore del proprio territorio, pur con una vena malinconica nel
suo notturno ululare... Accattivante aggressività e malinconia, ecco
due caratteristiche che dalla carta disegnata hanno continuato ad
emergere, entrando in sintonia col pensiero in mutamento dei giovani
lettori (ma anche di quelli adulti che avevano imparato a leggere
quella «nuova» forma di letteratura che è il fumetto). Dell’aspetto
malinconico si appropria, in qualche modo, uno dei più recenti lupi
del mondo dei comics, Lupo Alberto (creato da Silver, Guido
Silvestri, nel 1974). Un lupo apparentemente un po’ particolare: ama
le galline, sì, ma di un affetto sincero il cui scopo non è per
nulla alimentare; viene regolarmente bastonato dal cane da guardia
che cerca di impedirgli di aver rapporti con l’amata gallina Marta,
ma spesso è Alberto ad avere la meglio; intesse rapporti amicali,
anche profondi, con altri animali (che in natura potrebbero
tranquillamente far parte del suo menù quotidiano) a dimostrazione
di come la conoscenza e l’amicizia sappiano superare la «diversità»
(ed è esemplare il rapporto con il petulante Enrico la talpa, o la
struggente e sincera commozione per la morte di un piccolo uccello).
In effetti in questa serie deliziosa, divertente e intelligente, il
lupo finisce per rappresentare un po’ tutte le caratteristiche
psicologiche degli adolescenti, con quel misto continuo di
aggressività, slancio, entusiasmo, forza, tenerezza, depressione,
malinconia e senso di fallimento che si alternano senza sosta. Non
stupisce, quindi, che sia diventato un simbolo per i giovani, un
amico che condivide, sotto il pelo, le loro stesse avventure
quotidiane, con il sesso e con l’amore, con il mito del lavoro, con
i problemi più gravi, la politica, le malattie, le delusioni e le
illusioni. Ma poi, in fondo, sempre con quella grinta da lupo che va
avanti, nonostante tutto e tutti, oltre gli ostacoli, oltre il
prossimo bosco oscuro, verso la vita.
Lupo
Alberto | |