Scrivere Fumetti, di Gianfranco Goria | 10 giugno 2000 |
Da Torino ad Angoulême di strada ce n’era davvero tanta.
L’auto di Guido portava quattro pazzi scatenati con la testa piena di
“pupazzetti”. Beninteso, lui era uno dei quattro pazzi. Giornalista, serio
professionista dedito alla cronaca politica. Ma con la pericolosa passione dei fumetti...
Solo per questo difetto di fondo avrebbe potuto accettare di caricarsi in macchina, per un
viaggio lungo e estenuante, altri tre forsennati che non facevano altro che parlare di
meravigliosi personaggi sconosciuti ai più. Mah... in un certo senso, però, anche gli
altri erano “seri professionisti”: Franco
era anch’egli un giornalista e lavorava per un’importante rivista scientifica,
Vittorio un giovane editore rampante e Gianfranco addirittura un sindacalista.
Malati. Tutti malati. Di passione. Per il fumetto!
E
magari non solo per il fumetto, ma in quel viaggio la testa e il cuore si erano già
spostati di 1000 chilometri prima ancora di mettere in moto l’automobile. E gli occhi
già vedevano immensi stand nelle gelide piazze della città francese, pieni di albi
cartonati, a migliaia, a migliaia, e frotte di bambini, ragazzi, ragazze, adulti, presi
dalla lettura negli angoli delle strade, seduti sui paracarri o per terra, nel trionfo del
piacere della lettura! Per non parlare della quantità industriale di “oggetti
derivati”: pupazzetti in plastica, portachiavi, spillette, figurine, sagome, giochi,
cd, saggi scientifici... Quattro amici in barca... in auto, lanciati verso un mondo di
sogni reso reale dalla carta stampata.
Dieci ore di viaggio si possono riempire di silenzio... oppure di incredibili idiozie, canti e risate. L’auto di Guido era piena di risate e stupidaggini d’ogni sorta, tanto da togliere la voce, inframmezzate da serissimi e faraonici progetti. Diversi dei quali sono oggi realtà.
Dopo un paio di giorni si tornava in Italia stracarichi di libri. Un
anno Guido, prima di partire, fece presente con calma ma irremovibile fermezza ai suoi
compagni di viaggio che la macchina non era un camion e, anzi, stavolta era pure un poco
più piccola: oltre un certo limite non ci stava più nulla. Certo, certo, risposero in
coro, quest’anno ci limitiamo... tanto abbiamo già preso tutto quello che ci
interessava l’anno scorso... L’ultimo giorno, nella fredda mattina domenicale,
praticamente all’alba, eccoli impegnati nell’inverosimile impresa del
caricamento dei bagagli in macchina. Un’ora? Forse più, a mettere e togliere pacchi,
buste, albi cartonati, nel tentativo pietoso di compiere il miracolo: piegare il
bagagliaio alle loro esigenze “vitali”, curvare lo spazio-tempo per superare le
leggi della fisica che sembravano impedire la compresenza di più oggetti
nello stesso punto. Qualcuno arrivò persino a suggerire di lasciare lì uno di loro, pur
di trovare lo spazio per i libri... Molto più semplicemente, dopo aver accettato con una
certa riluttanza la loro incapacità di fare miracoli, si rassegnarono ad affrontare il
lungo viaggio con libri in braccio, nell’abitacolo, e tra i piedi e in ogni fessura
possibile. Quando fu finalmente a casa, Gianfranco si chiese, come tutte le altre volte,
dopo aver freneticamente svuotato pacchi, sacchi, borse e zaino, come mai tutti quei
volumi che tanto faticavano a stare in macchina, ora che erano sparsi per terra e sul
letto sembravano così pochi, così piccoli... Il vecchio Albert aveva dannatamente
ragione: tutto è relativo.