di Leonardo Gori ©
Questa è una storia singolare, la storia di un "extracomunitario" daltri tempi, arrivato a Firenze quando infuriava la Seconda Guerra Mondiale e poi sparito praticamente nel nulla. Ed è la storia di un artista di notevoli doti, come tanti altri ingiustamente dimenticato.
Ma andiamo con ordine. Abbiamo già accennato, qualche settimana fa, al fatto che nel 1938, lallora Ministero della Cultura Popolare (chiamato Minculpop con una punta di disprezzo), proibì limportazione dei fumetti americani nel nostro Paese, gettando la Casa Editrice Nerbini nella disperazione. Eh, sì, perché i settimanali ad altissima tiratura "Lavventuroso" e "Giungla!" fondavano il loro straordinario successo proprio su Gordon, LUomo Mascherato, Cino e Franco, Mandrake... Perderli dun tratto fu un autentico colpo per centinaia di migliaia di lettori, che non si rassegnarono mai e in gran parte disertarono le edicole.
Mario Nerbini, assistito dai fedelissimi Gino Schiatti e Giove Toppi (che era un disegnatore dalle straordinarie capacità) corsero subito ai ripari. Ma non era certo facile sostituire, sulle gigantesche pagine dell"Avventuroso", i disegni del biondo eroe siderale di Alex Raymond con i pur volenterosi sforzi dei nostri disegnatori, che oltretutto dovevano - per forza - raccontare di afriche italiane, di eroi di Macallè e via propagandando. Poi, ovviamente, Giove Toppi - che oltretutto disegnava anche le copertine degli albi, ed erano centinaia - non poteva certo far tutto da sé. Cerano sì Ferdinando Vichi, Giorgio Scudellari, Roberto Lemmi e altri bravissimi artigiani, senza contare il grande Yambo. Ma le cose, nelle redazioni fiorentine, furono comunque sempre difficili. A Milano, a "Topolino", cera un geniale Direttore Artistico che a Firenze mancava, il grande Federico Pedrocchi; cerano artisti del calibro di Walter Molino, e poi abbondavano mezzi finanziari e capacità organizzative e imprenditoriali che da noi mancavano, o erano in via di formazione. Mondadori era unindustria, Nerbini ancora una straordinaria fucina artigianale, per quanto baciata da un improvviso quanto (ahimé) effimero successo.
Con la guerra, le cose si fecero ancora più difficili. Per un po Mandrake, LUomo Mascherato, Jim della Giungla (ribattezzato Geo) tornarono di soippiatto, in barba ai provvedimenti del Minculpop e probabilmente grazie anche a certe ..."amicizie" in alto loco di Mario Nerbini. Niente di male, per carità: del resto fu un "gioco" che riuscì a molti altri editori. Ma fu comunque solo un breve ritorno di fiamma, chè poi, con Pearl Harbour (dicembre 1941) gli "americani" sparirono di nuovo (sarebbero ritornati solo dietro ai carrarmati). A complicare le cose, ci si mise il richiamo alle armi di molti artisti, la riduzione obbligatoria delle pagine, e altre tegole del genere.
Mancavano i disegnatori, e Giove Toppi - che andava un po a simpatie e antipatie - utilizzava poco giovani promesse come Aurelio Galleppini, mentre sfruttava assai certi volenterosi quanto incapaci disegnatori da un tanto al chilo. Un giorno, però, capitò nella redazione di Via Faenza un transfuga slavo, Sergej Soloviev. Non si sa quasi nulla di lui: anche recenti ricerche, condotte in Jugoslavia, non sono approdate a molto. Toppi capì subito che quel Sergej era fatto di ben altra pasta rispetto ai suoi soliti collaboratori: era un grande artista, lo si vedeva da come padroneggiava il disegno della figura umana. Fu affidato alle "cure" del soggettista Roberto Natoli, che lo mise alla prova con una storia "in costume", La prigioniera di Calais, nel novembre del 1941, un lungo romanzo a fumetti che si concluse nellaprile del 1942. Seguì poi La scimitarra del Gran Drago, che si concluse nel dicembre dello stesso anno. Poi, più nulla: il segno realistico, accattivante, floreale di Sergej Soloviev sparì dalle pagine dell "Avventuroso": morto Giove Toppi, fu Aurelio Galleppini che condusse per mano il glorioso giornale fino alla triste fine nel 1943, quando di più infuriava la bufera.
Ma Soloviev, non si sa come e perché, da Firenze si spostò in Liguria, proprio nei giorni del passaggio del fronte. Fu attivo, nellimmediato Dopoguerra, fra Genova e La Spezia, collaborando per il settimanale "Lo scolaro": realizzò straordinarie copertine e storie a quadretti, rimanendo legato alla struttura a didascalie e senza "nuvolette" a cui si era abituato da Nerbini, quando quel modo di fare fumetti era imposto dallalto. Per gli editori genovesi continuò a illustrare belle favole e storie in costume, col suo elegantissimo segno. Poi Soloviev sparì, nessuno è riuscito a scovarne le tracce. Restano i suoi sorprendenti fumetti, e i più interessanti sono proprio quelli fiorentini. Al di là delle esistenti ristampe "anastatiche", sarebbe interessante curarne una riedizione critica. Purtroppo, idee come queste, quando riguardano il Fumetto del passato, restano quasi sempre pii desideri. Chissà perché.