QUANDO NERBINI CI PROVÒ CON PINOCCHIO
di Leonardo Gori ©
Abbiamo già accennato al fatto che il primo "Direttore Responsabile" di "Topolino", settimanale edito da Nerbini di Firenze - il cui primo numero uscì il 31 dicembre 1932 - si firmava "Collodi Nipote". Era proprio Paolo Lorenzini, appunto nipote del grande Carlo, creatore di Pinocchio. Paolo Lorenzini era un letterato di tutto rispetto: suoi sono romanzi di cui ancora ci si ricorda, come ad esempio Sussi e Biribissi (la loro avventura nelle fogne di Firenze è tornata recentemente dattualità, quando è stata usata come una sorta di testimonial per una videocassetta collegata all appassionante mostra sulla città romana del Museo Firenze comera). Lorenzini aveva una fissazione: odiava i fumetti. Lideale, per lui, erano i vecchi "giornalini" ottocenteschi, con poche incisioni in nero e pieni zeppi di raccontini moraleggianti, più o meno validi dal punto di vista letterario. Dal suo punto di vista, aveva ragione: difendeva la categoria degli scrittori per linfanzia, alla quale apparteneva, insidiata dai nuovi cartoonists doltreoceano e di casa nostra.
Come fu come non fu, Lorenzini, dopo aver abbandonato "Topolino" nel dicembre del 1933 sbattendo la porta, perché il giornale si riempiva progressivamente di fumetti, rientrò poco tempo dopo in casa Nerbini dalla finestra, tornando a dirigere tutte le pubblicazioni zeppe di Gordon, Mandrake, Uomo Mascherato e Cino e Franco.
Ma Mario Nerbini volle in qualche modo ricompensarlo per questa sua "conversione". Nella scuderia di Via Faenza, alla fine degli anni Trenta, cerano due autentici cavalli di razza: "Lavventuroso" e "Giungla!". Diretti ai lettori più grandicelli (e non pochi adulti, magari di nascosto, li leggevano avidamente), non erano del tutto consoni ai lettori più giovani, quelli che in gran massa leggevano il "Topolino" mondadoriano e ancora, in larga parte, il "Corriere dei Piccoli". Così Nerbini e Lorenzini pensarono a un giornale adatto a loro. Mancava però un personaggio "trainante", originale, un piccolo eroe che potesse (almeno nelle intenzioni) rivaleggiare col Topo disneyano. Ecco che il lignaggio di Lorenzini venne buono: il personaggio sarebbe stato nientemeno che Pinocchio.
Qui occorre aprire una breve parentesi. Nel 1937, la stessa idea laveva avuta leditore Vecchi di Milano, che aveva confezionato un "Pinocchio" settimanale affidando alla matita di Carlo Cossio lincarico di disegnare una riduzione a fumetti del romanzo collodiano (la prima in assoluto). Il giornale non aveva avuto successo, e nel breve volgere di 32 numeri aveva dovuto chiudere i battenti.
Nel 1938, quindi, Nerbini e Lorenzini non facevano che ripetere un esperimento già tentato altrove. Ma, si saranno detti, Pinocchio è squisitamente toscano! Che ci stava a fare in riva al Naviglio? Chi meglio del Nipote di Collodi e del più fiorentino degli editori "popolari" poteva portare al successo la formula?
Il problema è che si volle strafare. Sul n. 1 del "Pinocchio" fiorentino, uscito il 15 maggio del 1938, la prima pagina era ovviamente dedicata a unavventura del burattino, coi testi di Lorenzini e coi gradevoli disegni di Giorgio Scudellari. Ma in epoca di modernità dirompente, di "progresso", di "americanate", lavventura si chiamava nientemeno che Pinocchio 900. Ovvero, traducendo per i lettori doggi, più o meno "Pinocchio in stile contemporaneo". E quindi giù automobili, radio, banche, turiste americane, il tutto ambientato nella Firenze di quei giorni. Seguirono poi Pinocchio in somarilandia, Pinocchio alla Mecca, e perfino Pinocchio nel Far West.
I lettori, nonostante che il giornalino ospitasse pregevoli fumetti del Principe Valentino di Hal Foster, racconti di Yambo e molto altro, rifiutarono la formula. Vista col senno di poi la ragione era evidente: i lettori volevano soprattutto Gordon e compagni. In mancanza di loro (e Nerbini aveva sviluppato il progetto in vista delle prossime proibizioni ministeriali), meglio il Pinocchio-Pinocchio che un ibrido di questo genere. Ironia della sorte, il periodico nerbiniano chiuse dopo trenta numeri, due in meno del gemello milanese...