Una bella mostra, a Treviso, ci ha fatto scoprire le tavole inedite di Max Fridman

INTERVISTA A VITTORIO GIARDINO

TARDA AD APPARIRE IL SUO NUOVO ROMANZO A FUMETTI

di Leonardo Gori ©

Vittorio Giardino è uno dei pochi, autentici romanzieri a fumetti italiani. Autore, oltre dieci anni fa, di Rapsodia ungherese, la prima spy-story con protagonista Max Fridman, eroe squisitamente anni Trenta, raffinato e intelligente, è stato per il fumetto un po’ quello che Le Carré è stato per i romanzi di spionaggio. Dopo un ottimo sequel, La porta d’oriente, uscito nel 1986, Giardino ci fa sospirare il ritorno dei suoi romanzi e del suo eroe, dedicandosi a brevi episodi. Eppure, ormai da molti anni, sta lavorando ad una lunga storia di Fridman, ambientata durante la Guerra di Spagna, di cui abbiamo perfino visto qualche tavola. Per capire i perché di tanto ritardo, conversando con lui, la prendiamo un po’ larga.

Qual’è la differenza sostanziale fra le tue storie brevi e le tue storie lunghe? Non è ovviamente solo questione di numero di tavole...

Una storia breve equivale ad un racconto, e difficilmente consente intrecci narrativi complessi e sviluppi di psicologie approfonditi. Mi sento più portato per le storie lunghe, perché ho tante cose da dire. Ma faccio volentieri anche delle storie brevi, che fanno acquistare spessore al protagonista soprattutto se sono tante e ripetute, ovvero in virtù dell’iterazione...

Come nei Peanuts e negli altri umoristici americani "sofisticati"...

Esattamente.

Max Fridman è il protagonista per eccellenza di storie lunghe. Quando lo vedremo nel prossimo episodio?

Ho già venti pagine pronte della nuova storia, ma nonostante ciò Fridman sta ancora... aspettando. Eppure ho molta voglia di portarlo avanti: recentemente, nel panorama internazionale, sono successe cose che mi invogliano a proseguire la storia, che è ambientata durante la Guerra Civile in Spagna. Con il conflitto in Jugoslavia, ho ritrovato molti aspetti analoghi. C’è soprattutto un’analogia fondamentale: in entrambe le guerre, tutti i Paesi vicini continuano a vivere normalmente: vanno in vacanza, al cinema, eccetera. Eppure, a così breve distanza, la gente si sta scannando, magari proprio nei posti che abbiamo visitato da turisti.

Il tuo primo personaggio, Sam Pezzo, agiva in una città sospesa tra la quotidianità realistica di Bologna e un’indeterminata metropoli "americana". Max Fridman vive negli anni Trenta e Quaranta. Hai forse bisogno, in qualche misura, di non essere del tutto aderente all’oggi, forse per decantare un po’ la tensione emotiva delle tue storie?

La domanda è difficile. In realtà, inizialmente non sapevo bene come gestire Sam Pezzo. Volevo fare qualcosa di molto ironico, per dimostrare che siamo diventati tutti americani. Con l’esperienza, mi sono reso conto che questo approccio, in realtà, non faceva per me, e allora l’ambiente è diventato sempre più italiano. In ogni caso, andando ancora più in là col realismo, sarei scivolato o nella commedia all’italiana, o nelle storie di mafia. Avendo a disposizione un personaggio che derivava dai detectives della letteratura poliziesca americana, sono stato costretto a mantenermi in una specie di limbo.

Nel caso di Fridman, invece, si tratta di una scelta ponderata. L’ho ambientato in un preciso contesto storico perché volevo parlare, in generale, di Storia e di Politica, e di quanto i grandi fatti influiscano sulle nostre piccole storie personali. Per un attimo ho pensato anche di farne un eroe di oggi, ma poi ho avuto il dubbio, ritengo sensato, che i tempi della Letteratura non possano mai coincidere con quelli dell’attualità. Dovendo fare delle storie che, in fondo, si possono definire di fantapolitica, avevo l’esigenza di sapere prima come le cose andavano a finire... Poi ci sono altre ragioni: quel periodo storico - ma anche letterario - mi ha sempre interessato. Ho letto sempre volentieri autori come Orwell o Hemingway. L’unione di queste ragioni ha prodotto Max Fridman.

Immagino che fra i ‘tuoi’ autori ci siano anche Le Carrè, Forsyte, Greene e altri del genere...

Non apprezzo particolarmente Forsyte: le rotelle dell’ingranaggio ci sono tutte, ma girano e basta: c’è la suspense, ovviamente, ma è finita lì. Mi sembrano quasi dei riassunti di romanzi. Metterei al primo posto senz’altro Graham Greene, da cui ho preso anche dei... ‘pezzetti’. Ma, per fortuna, nessuno se n’è accorto! E poi i miei debiti principali sono col cinema.

C’è anche qualcosa del fumetto degli anni Trenta fra le opere che ti hanno direttamente influenzato?

Sinceramente direi di no. Fridman ha tantissimi debiti indiretti, fra cui anche il Paperino di Barks, ma uno solo diretto: Corto Maltese di Hugo Pratt. E non tanto per l’ambientazione storica. C’è una storia di Pratt che somiglia moltissimo ad un determinato racconto di Jack London. Ebbene, in quella storia Corto dice, en passant: ‘Ho conosciuto un Jack London, in Siberia, tempo fa...’. Questo utilizzare la Letteratura come fosse vita, queste citazioni non dotte, non gratuite, ma utili per caratterizzare i personaggi, sono cose che io ho tentato di seguire.

E’ un po’ giocare intrecciando media diversi, forme diverse di comunicazione.

E poi, come dicevo prima, è la Grande Storia che si intreccia con le singole storie dei personaggi: questo è il debito fondamentale che ho con Pratt.

Max Fridman è un personaggio molto originale, nell’àmbito del fumetto: è un padre, con una figlia piccola. Ci sono pochi personaggi simili.

C’è ovviamente molto di autobiografico: la figlia di Fridman è la mia... Il personaggio è frutto di un’accurata progettazione. Io so molto di più, del passato di Fridman, di quanto abbia scritto e scriva. So che scuole ha fatto, conosco le vicende della sua infanzia, conosco sua madre - che pure non è mai comparsa, e forse non comparirà mai. E’ solo se tu sai queste cose, che puoi mettere in bocca al personaggio le parole giuste.

Anche questo può derivare da Corto Maltese...

Certamente. In Corte Sconta detta Arcana, il capolavoro di Pratt, ci sono delle sequenze basate proprio su un meccanismo di questo tipo.

Voglio farti una domanda di cui forse conosco già la risposta. Anche un certo Spielberg cerca di riscostruire lo stesso periodo storico di Max Fridman. Come giudichi il suo modo di ricreare quell’epoca e quell’atmosfera?

Personalmente apprezzo molto Spielberg. Sono convinto che abbia la grande capacità di raccontare storie che sono una specie di grandi favole, spaziando in generi molto diversi. Non dobbiamo dimenticare che Spielberg ha cominciato con Duel, che è chiaramente Moby Dick... Ma ha fatto anche 1941 attacco a Hollywood, che è una commedia musicale sgangherata.

Indiana Jones rappresenta comunque il tentativo di intrecciare media diversi, con grande abbondanza di citazioni.

Secondo me, l’idea di Indiana Jones è assolutamente geniale: ricordo benissimo la storia del Paperino di Barks su cui è basata la prima scena del film d’esordio, quella dove c’è il globo roteante. Oserei dire però una cosa che forse può sembrare presuntuosa: temo che Spielberg faccia tutte queste cose con una cultura sostanzialmente americana alle spalle...

...Intendi dire superficiale?

Non credo che si possa definire superficiale. Direi proprio americana. Beh, io immagino, per esempio, che Kafka non sia uno degli autori più letti da Spielberg e dagli americani in genere. Lo stesso Schindler’s List, che ho visto in un certo senso prevenuto - mi aspettavo qualcosa di terrificante - non l’ho trovato particolarmente duro... Credo che in Europa si siano fatti film su quei temi molto più crudi e realistici. Penso a Kapò e ad Europa Europa della Holland, con meno mezzi, meno masse, scene meno esplicite, ma un clima molto più pesante.

Spielberg è riuscito a raccontare una storia di oltre tre ore che sembrano un’ora soltanto. Ovvero, gli americani sanno forse raccontare meglio degli europei...

Oggi nessuno si occupa più di Rossellini, un regista che è un monumento ed un esempio per tutti. Paisà e Roma Città aperta sono dei riferimenti assoluti, ben raccontati, dal punto di vista dello spettacolo, al di là dei valori civili. La scena della morte di Anna Magnani in Roma Città Aperta, vorrei che fosse cronometrata: dura non più di quindici secondi, ma è perfettamente costruita. Ecco, immagino che Spielberg ci avrebbe messo, che so, dei violini...

Questo tuo elogio del Neorealismo mi incuriosisce: trovo le tue opere, semmai, realiste, che ovviamente è tutta un’altra cosa.

Ti confesso che non saprei definire esattamente cos’è il Neorealismo. L’accoppiata Zavattini-De Sica è neorealista in Ladri di Biciclette, ma probabilmente non lo è in Miracolo a Milano. Strettamente parlando, i miei personaggi non sono gente comune, non appartengono a quello che una volta veniva chiamato il proletraiato: sono dei borghesi. Ma allora, ti dirò, Senso di Visconti è neorealista o no? Io personalmente credo di sì. Comunque, ritengo che nei miei fumetti i capolavori del Neorealismo siano presenti come segmento...

Trovo che il realismo dei tuoi fumetti sia senz’altro vicino proprio a Senso...

Il quale, per me, è sempre nella linea del Neorealismo, che consiste sostanzialmente nell’esplorare i rapporti tra i personaggi e la realtà. Ci si può innestare anche una vicenda di sentimenti, ma non è quello il punto. Certi film, dal punto di vista sia figurativo che narrativo, ce li ho proprio ‘dentro’, anche per ragioni familiari: io sono di Bologna, certi panorami del delta del Po li conosco bene: e l’ultimo episodio di Paisà non lo posso proprio dimenticare..."

Noi fiorentini possiamo dire altrettanto dell’episodio ambientato in riva all’Arno...

Ecco: il protagonista dell’episodio fiorentino potrebbe benissimo essere Max Fridman! In quell’episodio ci sono molte componenti di ciò che tento di fare io.