L’AVVENTUROSA STORIA DEL FUMETTO AMATORIALE
Ultima puntata!
di
Leonardo Gori, ma con l’aiuto conclusivo di Giuliano Cerofolini, Sergio Lama,
Fortunato Latella e Piero Lapini.
TERMINIAMO DUNQUE LA
NOSTRA ANNOSA “STORIA”, PERCHE’ È DAVVERO TEMPO: IL MONDO DELL’AMATORIALE, FRA
DEFEZIONI E CHIUSURE, SE NE VA PER SEMPRE NEL MONDO DORATO DEI RICORDI. MA CE
ANCORA UNO SPAZIO PER L’”HAPPY ENDING”!
23. Fra amatoriale e professionale: “il nuovo che
avanza”
Le prime iniziative professionali, che però si
appoggiano in parte al classico circuito amatoriale, o quanto meno tengono
conto del suo pubblico di appassionati esperti, vedono la luce già nei
primissimi anni Ottanta. L’iniziatore è senz’altro Luigi Bernardi, che in
chiusura del decennio precedente fonda la casa editrice L’isola Trovata.
Produce volumi cartonati assai ben curati, ottimamente tradotti, che si
indirizzano principalmente al mercato delle librerie, ma che vengono presentati
anche alle mostre mercato: fa conoscere in Italia, fra gli altri, Jaques Tardi,
Wininger, Floc’h e Rivière. Nel marzo
1979 esce il volume La piramide dimenticata di Wininger, nel settembre dell’anno successivo Ombre dal
nulla dello stesso autore.
Ma il pubblico dell’ amatoriale, ormai ben strutturato
in clubs e gruppi d’acquisto, è in contatto con i distributori “ufficiali”, e i
titoli dell’Isola Trovata finiscono anche sui tavoli e sugli scaffali dei
circoli di appassionati e nei pochi negozi specializzati. È un netto
cambiamento, nel comicdom, perché il nuovo fumetto franco-belga di tipo
“narrativo” (con l’esclusione, ma solo per ora, dei “rivoluzionari metalloidi”)
affascina una buona parte del pubblico dell’ “amatoriale”, fino a quel momento
un piccolo universo chiuso in se stesso. Per la prima volta, si verifica una
significativa scollatura fra due tipi di lettori: una frattura trasversale,
perché non è legata strettamente all’età anagrafica. Collezionisti
“ristampisti”, affezionati clienti di Scotto e della Comic Art, rimasti sempre
e comunque lettori di fumetti, sono affascinati da collane quali gli
“Albi di Orient Express”, gli “Albi di Pilot” e alcune produzioni “moderne”
della Comic Art (Wally Wood, Moebius, Pichard). Vecchi “ragazzi di Gordon”,
formatisi su “L’avventuroso”, scoprono autori di cui non avrebbero mai
sospettato le qualità grafiche e narrative. Nessuno rinnega alcunché, ma, sui
tavoli dei clubs, Cino e Franco e Mandrake devono fare un po’ di posto a
personaggi e autori del tutto nuovi, che contendono loro l’amato portafoglio
degli appassionati.
Dall’altra parte, molti collezionisti storcono il
naso, con una certa aria di superiorità, e restano abbarbicati alla tradizione.
Alcuni, perfino fra i giovanissimi, sono perlomeno diffidenti di fronte alle
produzioni di Bernardi e agli …strani titoli proposti da Rinaldo Traini nel suo
già ricco catalogo, soprattutto perché considerano il circuito dell’editoria
amatoriale quasi come una proprietà privata, votato in esclusiva al repechage
filologico dei classici americani degli anni Trenta. È dura, per questi
“classicisti a oltranza”, vedere che i propri amici snobbano i primi timidi
albetti di Connie di Frank Godwin, una serie straordinaria degli anni
Trenta americani, per acquistare i nuovi e lucidi cartonati. I “collezionisti
feticisti” di albi e giornali d’epoca, infine, quelli irrimediabilmente e solo
nostalgici, ignorano del tutto il fenomeno. Piano piano, in questi anni, si
allontanano anche dai clubs e dai negozi, per vivere in un mondo appartato
fuori del tempo, fatto di piccole rivendite e trattative private, dove nulla
cambia, e che per certi aspetti può avere un suo fascino un po’ perverso.
In contemporanea con la ventata dei volumi
dell’”Isola Trovata”, che fanno un po’ da avanguardia, il “nuovo fumetto”
invade le edicole, e fatalmente si riverbera nel mondo dei clubs di
appassionati. Nel Novembre 1981, la rivista “1984”, che appassiona un’intera
generazione di fumettofili, è disponibile nei circoli. A “1984” si affianca
“Totem”, testata-contenitore di gran lusso, che all’inizio è disponibile solo
nelle edicole, ma che in seguito viene “catturata” dai gruppi di acquisto. Così
avviene anche per la gloriosa “Orient express” di Bernardi. Dal 1981 al 1985,
alla sempre nutritissima produzione amatoriale si affiancano riviste e albi di
varia produzione: nel 1984 arriva “Pilot”, nel 1983, L’isola Trovata sforna
titoli di Serpieri, Cavezzali e Staino, e poi, fino al 1985, presenta anche
Panebarco, Lauzier, Giardino (con Sam Pezzo) e molti altri.
Ma i primi anni Ottanta vedono altre iniziative
“professionali” con un piede nell’amatoriale, e che in qualche modo raccolgono
la sfida lanciata da “Glamour” e dal suo approccio puramente visivo al
mondo del Fumetto. Nel Dicembre 1981 il tuttologo televisivo Vincenzo Mollica
si allea con la piccola e raffinata casa editrice Del Grifo e produce un Dedicato
a Corto Maltese, riempito con decine di “omaggi” degli artisti più alla
moda. Seguono altri volumetti di buon livello, e la ruota gira a tutta
velocità, coinvolgendo anche alcuni editori “storici” come per esempio Bompiani
(Altan, Pericoli e Pirella).
24. Le nuove fanzines
L’esperienza di “Wow” fa scuola, alla fine degli anni
Ottanta, e alcuni gruppi di giovani appassionati adottano quel pratico formato.
L’esperimento più riuscito è forse quello della prozine “Linea Chiara”,
intelligente e provocatoria rivista che offre decisamente qualcosa di nuovo. Ma
ora, oltre ai critici in erba, ci sono anche autori esordienti, che trovano
conveniente usare le fanzines per mettersi in mostra. Nel Maggio 1983 esce
“Trumoon” n. 0, una creatura dei salernitani Giuliano Piccininno e Raffaele
della Monica. Non ci sono articoli sui personaggi del passato, solo qualche
scheda e servizi di secondario interesse. Quel che conta, che rende originale
la rivista, è la presenza di storie a fumetti nuove di zecca, realistiche e
umoristiche, prodotte dagli stessi curatori della fanzine. Negli USA il
fenomeno dell’autoproduzione esiste già da oltre vent’anni, ma per noi è
decisamente una cosa nuova. “Trumoon” n.1 è un Dossier Sud, molto
interessante. In questi anni il Meridione si fa avanti in modo massiccio, sulla
scena dell’amatoriale, sia con ristampe tradizionali che con iniziative del
tutto nuove. Ed è giusto, dopo un decennio in cui sono stati solo Genova,
Firenze e Roma i centri propulsivi. Ancora dei primissimi anni Ottanta è la
napoletana “Strip”, votata allo studio degli albetti striscia del decennio
1947/57, ma con gli occhi aperti anche ad altri fenomeni; il gruppo di Reggio
Calabria che fa capo a Stefano Mercuri vara la fanzine “La striscia” (1981):
Mercuri avrà il destino di restare in salute sulla breccia dell’amatoriale,
dopo il giro di boa del Secolo, fatale per molti, con la sua attivissima
“Editoriale Mercury”. Sempre della città reggina è poi di “Yellow Kid”, evoluta
e piena di notizie assai interessanti, che però soffre di una circolazione
decisamente scarsa: fra i collaboratori più attivi c’è Fortunato Latella, oggi
fra l’altro “colonna” dell’ANAFI e anche del GAF.
Sul versante ancora tradizionale, ma più moderno e
meno provinciale, è la bolognese “Fumo di china” che tiene alta la bandiera
dell’informazione e della critica. Venuta su dal sottobosco dei “bollettini”
ciclostilati, la rivista, animata soprattutto da Franco Spiritelli, si rivela
nei primi anni Ottanta un foglio battagliero, amante della polemica, che riesce
in qualche occasione anche a suscitare le ire (ingiustificate) di qualche
grosso nome del Fumetto: tutta acqua al mulino dei ragazzi emiliani, che si
fanno conoscere e apprezzare da un pubblico sempre più vasto. Nel 1987 il
periodico abbandona la sua veste pauperistica, si trasforma in un lussuoso (per
l’epoca) tascabile, zeppo di pagine stampate fitte fitte, e si aggancia al
carro vincente di Alessandro Distribuzioni. Usciranno in quella veste cinque
indimenticabili numeri della rivista, che poi abbandona l’amatoriale e si
trasferisce in edicola, dove tutt’ora gode di ottima salute ed è anzi l’unica
testata di informazione ad alto livello.
Per il resto, abbiamo già raccontato le vicende di
varie testate. Nerbini vara “Fang”, giornalone critico con pretese accademiche;
gli anni Ottanta vedono la parabola di “Wanted Comics”, bollettino di annunci
per collezionisti diretto da Franco Mastrazzo di Nizza Monferrato, che col
tempo si arricchisce di cronologie, guide e articoli di buon livello. Alla fine
del decennio chiude: viene tentata una fusione proprio col “Notiziario GAF”, ma
l’operazione ha vita breve. L’Oasi editoriale di La Spisa affianca alla sua
splendida rivista, di cui abbiamo già abbondantemente parlato, alcuni volumi
curati da Sergio Trinchero: “Vita col Fumetto”, “Almanacco di Nostalgia” e
altri, inaugurando il fenomeno curioso della “nostalgia della nostalgia”, ossia
il riandare coi ricordi all’epoca eroica del collezionismo di fumetti. Proprio
quello che stiamo facendo noi con la nostra “Storia”!
Gli anni Novanta vedono soprattutto emergere il
gruppo di “Collezionare”, una fanzine particolarmente intelligente creata da
Moreno Burattini, Francesco Manetti, Saverio Ceri e Alessandro Monti (più
altri) a Campi Bisenzio, alle porte di Firenze. “Collezionare” si impone
subito: i suoi redattori sono contesi dalle altre riviste (anche da noi di
“Exploit comics”, tanto che per qualche anno le due associazioni si fonderanno)
e vengono cooptati nell’organizzazione di mostre e convegni. Alcuni,
soprattutto Moreno Burattini, passano decisamente al professionismo. Nel 1992,
il gruppo dà vita, per la Glamour Productions di Antonio Vianovi, alla
iper-specializzata “Dime Press”, magazzino bonelliano, che è ancora in
produzione, pur uscendo in modo discontinuo.
Dopo l’esperienza di “Exploit Comics”, il gruppo di
Moreno Burattini, Francesco Manetti &c e quello di Leonardo Gori e Sergio
Lama, con l’aggiunta di Claudio Piccinini (già fra l’altro direttore di
“Marvelseries”, raffinata rivista non così monotematica come vorrebbe il
titolo) e su iniziativa di Gianni Bono dell’Epierre, si coagulano intorno al
progetto della nuova “If”, che vede la luce nell’ottobre 1994, con fra l’altro
un ampio servizio sulla storica visita di Carl Barks in Italia dell’estate di
quell’anno. Curatissima, dalla veste sempre più lussuosa col passare degli
anni, la rivista passa da trimestrale critico-informativo, articolato in
“sezioni”, ad un annual di grande prestigio, strettamente monografico e
di taglio professionale, che naviga sulle 250 pagine patinatissime, interamente
a colori. Allo staff iniziale si aggiunge, e poi si sovrappone, quello
straordinario dell’Epierre, rappresentato soprattutto da Cristiano Zacchino e
dallo stesso Gianni Bono, con l’”appoggio esterno” di Alfredo Castelli. Oggi
“If”, che è anche catalogo di Cartoomics, la fortunata manifestazione milanese,
è un punto di riferimento imprescindibile per l’appassionato e il
professionista di fumetti.
Un altro fenomeno tipico della seconda metà degli
anni Novanta è la nascita di un tipo nuovo di fanzines e riviste, quelle legate
ai più importanti commercianti d’antiquariato. Il caso eclatante è quello di
“Collezionare fumetti & libri per
l’infanzia”, rivista-catalogo edita dallo Studio Bibliografico Little Nemo di
Sergio Pignatone, che nasce come derivazione della serie di pregevolissimi e
sofisticati volumetti editi dal colto e raffinato mercante torinese in oltre
dieci anni di attività. Ma anche Luca Mencaroni cura un catalogo patinato a
colori che è oggetto esso stesso di collezionismo. Il ricordo va, per i più
anziani, al “Listino” di Semeghini, meteora degli anni Settanta.
La fine degli anni Novanta vede la progressiva,
rapida affermazione di Internet. I vantaggi di questa nuova forma di
comunicazione si fanno sentire soprattutto per i “fanzinari”: i costi sono
ridotti praticamente a zero, la rivista virtuale ha una visibilità
straordinaria e immediata, i risultati grafici sono sempre di ottimo livello
anche per un cibernauta alle seconde armi, se non proprio alle prime. Il
fenomeno è troppo recente per essere storicizzato a dovere, ma già possiamo dire
che il mondo del Fumetto in Internet, dal lato dell’informazione e della
critica, è strutturato intorno a due o tre “portali” principali, siti
conosciuti a livello internazionale, circondati da una costellazione di siti
minori, spesso specializzati in un unico settore, e da una miriade di pagine
personali di autori e appassionati, spesso con interessanti links (un
fanatico degli anni Trenta italiani ha allestito un sito sugli “albi” e
“giornali” di quel dorato periodo, su:
http://www.geocities.com/Area51/Shire/6371/).
Fra i primi ricordiamo solo il sito dell’”Anonima
fumetti” (http://www.fumetti.org/), portale-monstre curato da Gianfranco
Goria; fra i secondi lo “Sciacallo elettronico” (http://assioma.com/sciacallo/)
e la fanzine bonelliana UBC fumetti (http://www.ubcfumetti.com).
Ma Internet non uccide certo le fanzines cartacee, che magari cambiano look
e funzioni. La più originale è stata senza dubbio lo “one man magazine”
“Mefisto”, foglio polemico e stimolante curato da Giuseppe Pollicelli, che
autoproduce anche una bella serie di saggi. E non sarebbe finita qui, perché
non abbiamo parlato di fanzine interesanti come “Cronaca di Topolinia” di
Salvatore Taormina, ma è tempo di tirare le somme, almeno provvisoriamente.
25. L’ANAF/ANAFI
Dell’ANAF, dei suoi esordi e dei suoi primi
indimenticabili anni, abbiamo già parlato abbondantemente. Nonostante crisi
anche profonde e un cambiamento di sede e di strutture certo non indolore, per
oltre trent’anni ha sempre proposto, ogni anno, quattro numeri (ben sei nel
1983) della sua rivista “Il Fumetto/Fumetto”, oltre a moltissimi e interessanti
volumi esupplementi vari: un record di longevità certamente mondiale. Ed è
ancora sulla cresta dell’onda, dopo aver superato il fatidico (e come vedremo
cruciale) giro del Secolo.
L’ANAFI (all’acronimo di “Associazione Nazionale
Amici del Fumetto” ha solo aggiunto la “I” di “e dell’Illustrazione”), rimane
ancora oggi la più grande e importante associazione di collezionisti in Italia:
i suoi soci sono circa 500, anche se sottoposti a fluttuazioni. “Fumetto” è una
delle principali pubblicazioni specializzate mondiali, ed è certamente
fondamentale per chi cerchi documentazione storico-critica sulla IX arte (o è
la X?): il suo indice analitico, pubblicato nel 2000 in occasione del
trentennale, lascia esterrefatti per la qualità e quantità di articoli,
servizi, recensioni, interviste, apparsi in tre decenni. Purtroppo la rivista
non ha mai abbandonato le premesse iniziali, e pur con una veste decisamente
ricca e professionale, non è mai uscita dal limbo culturale delle fanzines.
L’ANAFI è rimasta sempre un’associazione di dilettanti, probabilmente perché in
Italia non è mai stato possibile stabilire un buon rapporto tra lo Stato ed il
mondo del Fumetto, a differenza di quel che avviene, per esempio, in Francia.
L’ANAFI non ha mai saputo, potuto o voluto aprire un dialogo con la Cultura
ufficiale, che permettesse la creazione di un’Accademia di Studi del Fumetto
riconosciuta (e sostenuta) dalla collettività.
Inoltre, nel corso degli anni, l’ANAFI è stata in
parte superata dalla proliferazione di numerose altre associazioni, a volte di
breve vita, spesso fortemente settarie (ovvero, ottusamente legate ad un ben
definito tipo di fumetto e chiuse ad ogni altro), che hanno frammentato il già
poco nutrito gruppo degli appassionati. L’Associazione è stata incapace di
continuare a proporsi come l’associazione super partes di tutti gli
appassionati, attirandosi negli anni, e soprattutto di fronte ai giovani,
l’etichetta di associazione anziana e dedita ad un fumetto antico o comunque
superato. Pesano forse troppo le scelte nostalgiche della massa dei soci, che
sembra rifiutare a priori iniziative coraggiose legate al mondo del Fumetto
contemporaneo ma di più – il che fa pensare – a quello della Narrativa Grafica
anteriore al 1940. E ciò nonostante gli sforzi encomiabili di una Dirigenza e
di una redazione che è forse la più preparata d’Italia (ricordiamo solo, fra
tutti, Luciano Tamagnini). Probabilmente, è mancata anche la capacità di
comunicazione e purtroppo manca ancora: in Internet, l’ANAFI ha uno dei siti
più poveri e meno interessanti in assoluto (http://www.arcire.org/anafi).
L’augurio è ovviamente che l’ANAFI viva ancora trenta volte trent’anni, ma la
sua importanza nel mondo del fumetto sarà anche legata alle scelte che saprà
fare nel prossimo futuro. La tradizione è una bella cosa, ma anche il
rinnovamento è necessario.
26. Risorgono le manifestazioni, vecchie e nuove
Avevamo lasciato le mostre di fumetti all’epoca della
“Grande Stanca” degli anni fra il 1986 e il 1989, quando alle manifestazioni ci
ritrovavamo fra i “soliti noti” a guardarci reciprocamente negli occhi, mentre
i “collezionisti ristampisti” acquistavano le ultime vagonate di carta. Ma nel
1990 accade un fatto nuovo: ai cancelli di Lucca iniziano a premere gruppi di
giovanissimi, volti sconosciuti: prima piccole folle, poi un esercito di
adolescenti con gli zainetti avidi di carta stampata. Cos’è successo? Semplice,
sono arrivati i Manga, e gli appassionati di supereroi e di fumetti
neo-bonelliani sono diventati improvvisamente “attivi”. È Dylan Dog, insomma,
che salva sia il Fumetto italiano che le mostre mercato, se vogliamo cedere
alle lusinghe di un’estrema semplificazione. L’arrivo dei “nuovi” giovanissimi
ha qualcosa di epocale: le strutture del Palazzetto non sono in grado di
contenere grandi e impreviste folle, e arrivano addirittura le forze
dell’ordine a contenere l’afflusso alle biglietterie. Osserviamo la scena dalle
finestre dei ballatoi, sopra le tribune, con un misto di piacere e di
sconcerto. Naturalmente, questo cambiamento drammatico provoca un piccolo
terremoto fra gli “amatoriali”. Qualcuno si ricicla abilmente, abbandonando
l’erotismo raffinato e costoso e mettendo su riviste tutte dedicate a Tex e compagni;
altri tentano trasformazioni ancora più velleitarie; molti cedono
definitivamente le armi. Ma sono gli organizzatori delle mostre a cercare di
sfruttare fino all’osso la nuova fiammata. Sia Lucca che le altre
manifestazioni vengono migliorate e potenziate; l’afflusso delle nuove leve non
accenna a diminuire, e il ricavo dei biglietti d’ingresso (antipatica novità
introdotta giusto alla fine degli anni Ottanta) va alle stelle.
Ma non mancano i problemi: anzi, alcuni si acutizzano
o esplodono proprio in concomitanza con questa seconda ondata. L’attrito e le
incomprensioni che esistono da tempo fra Rinaldo Traini e il Comune di Lucca,
si manifestano in tutta la loro gravità fra il 1990 e il 1992, due memorabili
edizioni del Salone. Traini, con tutto il gruppo di Immagine, se ne va
dopo l’edizione 1992, che vede una massiccia presenza della Disney e i
leggendari Frank Thomas e Ollie Johnston, “padri fondatori” della factory
e fra i pochi (allora) sopravvissuti del gruppo dei “nine old men”. Traini e Immagine
traslocano a Roma, Lucca sembra abbandonata: stringe il cuore, agli
appassionati di lunga data, vedere il desolato profilo di tendoni messi su alla
meglio, e il ricordo va fatalmente al leggendario “pallone”, agli anni
dell’entusiasmo più vivo.
Ma le cose tendono ad aggiustarsi, la mostra di Lucca
non può scomparire: non lo vuole il popolo del comicdom, mentre i
“locali” sembrano piuttosto tiepidi. Rimane a Lucca l’Ente Max massimino
Garnier, e al gruppo di Traini viene “strappato” il prestigioso Ernesto Guido
Laura, appartenente al Gotha della critica di fumetti, che diventa Direttore
Culturale del salone, con Claudio Bertieri (altra colonna fondamentale) come
consulente. Le edizioni del duo vanno avanti fino all’autunno del 1996. Vengono
scelti collaboratori di altissimo livello, primi fra tutti Luca Boschi e Fabio
Gadducci, mentre il giornalista Roberto Papini cura l’ufficio stampa. La mostra
non può più chiamarsi “Salone Internazionale dei Comics” né assegnare gli
“Yellow Kid”, perché entrambe le cose restano di proprietà di “Immagine”, e
traslocano a Roma; le manifestazioni proseguono senza scosse apparenti, per il
pubblico, mentre una ragnatela di invidie, gelosie, interessi privati, e altre
amenità, avvelena il clima all’interno del gruppo organizzativo.
L’edizione del marzo 1994 segna probabilmente il
nadir della mostra lucchese. Gli “addetti ai lavori” (espositori, giornalisti,
appassionati di antica data) entrano come al solito prima dell’orario di
apertura, per allestire gli stand ma anche per cercare i “pezzi mancanti”,
prima che arrivi la folla. Ma passa il tempo, e la “gente” non arriva: che
succede? Un’occhiata dai soliti finestroni dei ballatoi svela l’arcano: siamo
circondati da una folla inviperita, tenuta inchiodata ai cancelli addirittura dalle
forze dell’ordine! Perché non li fanno entrare? Pare che una telefonata anonima
abbia denunciato gravi mancanze nei permessi, nei sistemi di sicurezza, ecc.
Passano le ore, alla fine il Palazzetto dello Sport viene aperto, ma abbiamo
tutti quasi le lacrime agli occhi.
Luca Boschi diventa Direttore Culturale nel marzo del
1997, e rimane in carica fino al novembre 1999. Sei edizioni in totale, durante
le quali Lucca cambia volto: rapidamente viene posto rimedio a tutte le gravi
carenze organizzative che avevano sempre afflitto il Salone; gli ospiti
internazionali tornano al livello dei primi anni Settanta, lo staff è fatto di
gente competente ed entusiasta (Relazioni Internazionali: Fabio Gadducci, Mirko
Tavosanis; Ufficio Stampa: Federica Mabellini, Silvia Andreotti; Redazione
grafica: Cristina Francesconi; Sito Internet: Massimo Silva; Responsabili
sale incontri: Stefano Bartolomei, Pier Luigi Gaspa; Progettazione,
allestimento scenografico etc. mostre: Mauro Bruni, Roberto Irace, Pierpaolo
Putignano; Iniziative legate alla memoria storica, antiquariato, conferenze:
Leonardo Gori; Videolucca: Giovanni Russo; Rapporti con Europa Cinema: Simona
Generali, Thomas Martinelli; Coordinatore Lucca Games: Beniamino Sidoti;
Relazioni Esterne, programmi televisivi e radiofonici: Clive Malcom Griffiths),
anche se gli odii sotterranei continuano a lavorare.
Poi, d’un tratto, nel 2000, Luca Boschi è allontanato
dalla mostra di Lucca, e il suo posto viene preso da Renato Genovese. Scoppiano
polemiche a non finire, che ancora (febbraio 2001) non accennano a placarsi: di
questo non ci occuperemo, ovviamente, perché non è ancora materia che può
essere storicizzata.
A Roma, Traini e il gruppo di Immagine allestiscono Expocartoon,
alla Fiera di Roma. Le mostre sono faraoniche, e vedono un afflusso incredibile
di pubblico, specie giovanissimo. L’aspetto culturale è curato da Rinaldo
Traini e collaboratori con la consueta, consumata maestria; gli ospiti sono di
primissimo piano; le mostre notevoli, spesso accompagnate da libri-catalogo di
alto livello, e si continuano ad assegnare i leggendari “Yellow Kid”. Ma
qualcosa sembra non funzionare, almeno per i soliti romantici appassionati
della “prima ora”: la sede della mostra è lontana dal centro, con collegamenti
difficoltosi; Roma è splendida ma troppo grande, così che i visitatori sono
costretti a rimanere sempre fra gli stand, senza poter fare quelle camminate
ristoratrici che sono la norma a Lucca. Infine, specie nelle ultime edizioni,
Expocartoon accoglie sempre più venditori di frutta candita, di giocattoli, di
oggettistica di ogni genere, così che la manifestazione sembra diventare una
grande fiera di paese. Comunque nel 2000, con la fine improvvisa della Comic
Art, per la grande manifestazione romana sembra arrivato il momento della
chiusura. Anche questa, però, è storia di oggi, nemmeno di ieri, e in questa
sede non è possibile affrontare l’argomento, fatto ancora di “si dice” non
controllabili.
Gli altri appuntamenti, all’alba del XXI Secolo, sono
Reggio Emilia, di cui abbiamo già parlato in precedenza, Torino e la milanese
Cartoomix: un po’ fuori, quest’ultima, dagli itinerari classici degli
appassionati, ma comunque un appuntamento assai importante, non fosse altro
perché si svolge nella sede dell’editoria italiana, a fumetti e non, e per la
preziosa rivista-catalogo “IF, Immagini & Fumetti”, che esce per
l’occasione.
Delle mostre “minori”, sempre meno importanti, sempre
più artigianali, è inutile parlare, perché ormai sono tornate al livello di
sagre paesane, o poco più. Resta solo Prato, nonostante tutti i suoi problemi,
che nonostante i pochi mezzi finanziari a disposizione, è sempre di ottimo
livello culturale e un piacevole appuntamento per i collezionisti. Con una
leggenda: nella città toscana spunta sempre un “pezzo raro”, qualcosa di
introvabile... Ed è vero.
27. Il nuovo “circuito diretto”: le “fumetterie”.
Il fenomeno delle “fumetterie” è soprattutto
americano, legato alla crisi dei comic books da edicola, che per sopravvivere,
negli anni Settanta, furono costretti a trovare un canale di vendita
alternativo. Ma quegli anni videro sorgere anche in Italia un fenomeno analogo,
sia pure basato su premesse diverse, per certi versi opposte. Il boom
della rivalutazione estetica dei comics, nel decennio precedente, e il
sorgere del collezionismo, avevano portato all’apertura, come abbiamo già
visto, di negozi specializzati in fumetti d’epoca, che però mettevano in
vendita anche le pionieristiche edizioni amatoriali. I primissimi negozi
sorgono intorno al 1970 a Firenze (la famiglia Rolle, con punti vendita in
Borgo San Frediano, poi in Via Ricasoli e in Via dell’Oriolo), Bologna, Genova,
Milano. Nella maggior parte dei casi, il sorgere dei “clubs” e dei gruppi
d’acquisto, oltre al proliferare delle mostre mercato, mantenne questi
esercizi, appena più grandi di quelli (sempre esistiti) dei rivenditori di
vecchie riviste e giornali, nell’ambito del piccolo e piccolissimo cabotaggio.
Ma un negozietto bolognese, nei pressi di Via del Borgo, grazie
all’intelligenza e al coraggio del suo titolare, Alessandro Pastore, divenne un
vero fenomeno. Anche Pastore iniziò a vendere le stampe amatoriali, ma ebbe la
felice idea di supplire a quello che mancava ai vari editori dell’epoca, e cioè
una buona distribuzione nazionale. Gli amatoriali, come abbiamo visto
all’inizio di questa nostra lunga storia, erano costretti ad affidarsi al
disservizio postale o alle manifestazioni specializzate: Alessandro mise in
contatto la domanda con l’offerta, proprio nel momento in cui il fenomeno
dell’amatoriale spiccava il volo. Altra idea geniale fu quella di stampare un
catalogo: gli appassionati dei primi anni Settanta, infatti, dovevano andare
letteralmente a caccia di circolari e “comunicati”.
La Libreria Alessandro, alla metà degli anni
Settanta, ha subito un notevole successo, e dalle edizioni amatoriali passa ad
alcuni tentativi di distribuzione di fumetti da edicola: il colpo da maestro è
assicurarsi la disponibilità delle edizioni Bonelli, che finalmente diventano
facilmente disponibili. Purtroppo i distributori ufficiali bloccano presto
l’iniziativa, ma il ghiaccio è rotto, e la nuova Alessandro Distribuzioni, che
intanto si trasferisce in una spaziosa sede di Via del Borgo San Pietro,
diventa un autentico supermarket del fumetto, e uno straordinario punto
d’incontro per gli appassionati bolognesi (e non solo): il gruppo di “Fumo di
China” stringe presto rapporti con Alessandro, e tutti i migliori talenti della
zona collaborano in qualche modo alle iniziative. Dopo un ulteriore ampliamento
della sede, per tutti gli anni Ottanta e fin quasi alla fine del Secolo,
Alessandro è certamente il polo principale per il fumetto in Italia, e
all’attività di distributore affianca quella di editore, con albi e volumi
pregevolissimi: ha il grande merito di riportare in Italia una parte importante
delle serie di produzione franco-belga più rimpiante, come Michel Vaillant di
Jean Graton e Buck Danny di Hubinon, o cose per noi nuove come Spirou di
Franquin e successori; ma anche Altai & Johnson di Pezzin e Cavazzano, e
molto Magnus (La compagnia della forca). Per un periodo edita anche
“Fumo di China”, poi l’attività ha una battuta d’arresto, ma riprende in gran
pompa dopo la cessione dell’attività distributiva alla Panini.
Se Alessandro Distribuzioni è il fenomeno più
cospicuo, nell’ambito delle fumetterie, e che trascende ampiamente i limiti del
settore, la Borsa del Fumetto di Nessim Vaturi, in Via Lecco a Milano, ha
senz’altro il vanto della primogenitura. L’attuale immenso negozio ha per
antenato un appartamento privato, dove i visitatori potevano navigare fin dagli
inizi del fenomeno dell’amatoriale fra la quasi totalità della produzione
italiana ed estera, specialmente americana. Altro fenomeno cospicuo, e per molti
aspetti simile (fatte le debite proporzioni) a quello bolognese di Alessandro,
è “Al fumetto” di Mauro Ricciardelli, inizialmente in Via G. Della Casa, a
Firenze. Anche Ricciardelli, come abbiamo già visto, con l’aiuto di Stefano
Piselli, Riccardo Morrocchi e molti altri collaboratori di area fiorentina (in
primis Luca Boschi) passa all’editoria con notevolissimi risultati.
Ma il fatto veramente nuovo degli anni Novanta,
legato a stretto filo con la disaffezione alla lettura delle grandi masse
infantili e adolescenziali, e alla conseguente crisi del Fumetto da edicola, è
dato dalla moltiplicazione delle “fumetterie” minori e minime, che nel corso
degli anni Novanta si moltiplicano su tutto il territorio nazionale,
interessando anche il Sud. Il fenomeno ha molti aspetti positivi: coagula gli
appassionati anche delle zone più defilate, dà vita a varie iniziative
(fanzines, ma non solo), permette ai giovani autori di autoprodursi, ma
fatalmente ghettizza ancora di più il Fumetto. In un’era in cui gli editori tradizionali
sembrano ben poco disponibili a impegnarsi, le fumetterie, permettendo tirature
limitate e distribuzioni mirate, hanno favorito infatti la nascita di piccoli e
piccolissimi editori, che grazie anche alla distribuzione capillare della Pan
(ex Alessandro), hanno permesso la stampa di un buon numero di nuove proposte
ed anche di vedere, finalmente, in Italia una certa quantità di produzioni
internazionali di qualità.
Ma ogni medaglia ha il suo rovescio. In realtà, nelle
fumetterie si reca solo chi è già un lettore di fumetti, costringendo
l’industria in un vicolo cieco, da cui potrà essere alquanto difficile tirarsi
fuori. La necessità di trovare nuovi lettori non può essere risolta così: il
non-lettore di fumetti continuerà a non leggerli perché, in un certo senso, non
sa neppure che esistono (come è noto in ogni campo dell’industria, non è
sufficiente creare buoni prodotti, ma è indispensabile anche far sapere al
potenziale acquirente che questi esistono e poi convincerlo a provarli).
Inoltre, i titolari delle fumetterie sono pur sempre dei commercianti (auri
sacra fames), disponibili soprattutto a sostenere quell’area dell’industria
che già gode, anche in edicola, di decente - buona è impossibile - salute. Gran
parte dei comic shop italici trasudano soprattutto di Manga e supereroi
made in USA, che, purtroppo, sono tra le poche cose che si possono già trovare
comodamente in edicola. Anche quei volumi di questi due generi, che sono
prodotti dagli editori esclusivamente per il mercato delle fumetterie, godono
già almeno della propaganda fatta dalle riviste da edicola di quegli stessi
editori: se la Marvel Italia produce un volume cartonato solo per fumetterie, i
lettori abituali lo possono benissimo apprendere dalle numerose note autopubblicitarie
che non mancano negli albi da edicola della Marvel Italia.
Ma gli editori che le edicole non le vedono neppure
con il binocolo, e che producono materiale veramente alternativo? Che spazi e
che visibilità hanno in una fumetteria? Dipendono totalmente dal gusto e dalla
buona volontà del gestore! E spesso lo spazio che gli si concede è poco.
In definitiva, le fumetterie sono un comodo punto
d’incontro per inveterati fumetto-dipendenti, ma sono anche un altro aspetto
del solito ghetto in cui il Fumetto si è chiuso.
28. Editori
amatoriali - Come definirli ieri e come chiamarli oggi. Triste Tramonto della
Comic Art e della Nerbini…
Inaspettatamente, il 2000 segna proprio una tappa
drammatica nel crepuscolo dell’Amatoriale in Italia. Dopo la morte
dell’indimenticato Alfonso Pichierri, chiude la Casa Editrice Nerbini: o almeno
passa di mano, ma queste sono notizie proprio dell’ultimo minuto (febbraio
2001). Un colpo al cuore, che si somma all’altra sconvolgente notizia: la Comic
Art chiude improvvisamente i battenti.
Non sono certamente eventi da sottovalutare: quelle
due case editrici, con cataloghi apparentemente simili ma così diversi (la
prima votata alla nostalgia e all’”anastatica”, la seconda allo scrupolo filologico),
hanno accompagnato la nostra vita di appassionati almeno dal 1975 a oggi:
venticinque anni di rassicuranti appuntamenti in libreria, in fumetteria, ai
clubs e alle manifestazioni. Per staccarci, in quei momenti sereni, dalla
consapevolezza del tempo che trita tutto. Sembrava proprio che non dovesse
finire mai, e invece ora le cose non potranno più essere quelle di sempre. E,
ormai alla conclusione del nostro viaggio nel tempo, tutto ciò ci offre lo
spunto per un’ultima riflessione.
Cos’è un editore amatoriale? In passato la risposta
era semplice: un soggetto con un capitale limitato, un magazzino per lo
stoccaggio delle copie e, soprattutto, le conoscenze necessarie per approntare
volumi di ristampe (anastatiche o filologiche). La sua caratteristica era che
non si serviva del circuito delle edicole o della distribuzione alle librerie.
I suoi prodotti si vendevano direttamente per posta, nelle mostre mercato o in
pochi altri luoghi, come certe piccole librerie antiquarie.
Questa definizione è certamente valida per gli Anni
Settanta, ma come adattarla a tempi più recenti?
Prendiamo, ad esempio, proprio la appena defunta casa
editrice romana Comic Art di Rinaldo Traini. Come Comic Art Club,
forniva riedizioni di fumetti classici, ma, nel 1984, seguendo l’esempio di
altre pubblicazioni (“Orient Express”, “L’Eternauta”, entrambe del 1982),
approda nelle edicole con una sua rivista, “Comic Art”, appunto, che, oltre a
reclamizzare le attività del Comic Art Club, si preoccupa di fornire ai suoi
lettori tipici esempi di quello che si soleva definire moderno fumetto
d’autore. Non più, quindi, ristampe, ma proposte di materiale inedito e,
soprattutto, recente. Non più una distribuzione limitata, ma lo sbarco nel
difficile campo delle edicole (senza contare il nascente mercato delle
fumetterie, che, comunque, costituiscono un altro discorso). Se per questi
editori “amatoriali”, l’esperienza delle edicole si è, alla fine, dimostrata
non troppo felice (tutte le riviste succitate sono praticamente scomparse),
bisogna però anche sottolineare che, molto difficilmente, questi piccoli
editori riuscivano ad arrivare ad abbeverarsi alla necessaria fonte degli
introiti pubblicitari. Se l’editore Bonelli (forse piccolo se raffrontato ai
grandi colossi editoriali come la Rizzoli, ma non certo amatoriale) ha sempre
rifiutato di accogliere sulle pagine dei suoi albi la pubblicità, le riviste
d’autore avrebbero certo accolto volentieri degli inserzionisti, permettendo di
alleggerire i costi di produzione: ed anche queste riviste hanno mantenuto
delle proprie scuderie d’autori, cosa certo più costosa della semplice
acquisizione dei diritti di ristampa di un prodotto estero. Oggi, possiamo con
certezza dire che gli editori “amatoriali da edicola” sono scomparsi, pefché
per lo più sono tornati a rifugiarsi nelle fumetterie. Il problema è che,
purtroppo, sono svaniti (fumettisticamente parlando, è ovvio) anche gli editori
come Mondadori o Rizzoli, che preferiscono allestire pochi volumi, sempre
dedicati a ristampe, che affrontare le edicole e le librerie con iniziative
originali. Se nessun grande editore con grandi capitali, una forte
distribuzione e con la possibilità di finanziare lanci pubblicitari, si
ripresenterà nelle edicole con nuove proposte, probabilmente, il futuro del
Fumetto, come arte popolare, sarà grigio.
Ci sono notevoli eccezioni, ovviamente, che danno
lustro a quel settore di confine tra amatoriale e professionale in cui
riponiamo le nostre speranze di lettori appassionati: la Lizard, con un
catalogo gonfio di Pratt ma anche di altre egregie cose; la già citata
Alessandro Editore; la Vittorio Pavesio Productions, condotta dal suo titolare
con amore e competenza, senz’altro la più coraggiosa entità del settore: nel
suo catalogo sono presenti prodotti decisamente “difficili”, commercialmente
parlando, come le opere non disneyane di Giorgio Rebuffi, Luciano Bottaro e
altri, oltre a libri di critica come l’importante Capire il fumetto di
Scott McCloud e l’imperdibile Fumetto e arte sequenziale di Will Eisner.
29. Cosa manca all’appello?
Dopo trent’anni esatti di attività editoriale, per
anni decisamente frenetica, c’è ancora qualche fetta del Fumetto italiano e
internazionale che manca di una dignitosa edizione in lingua italiana? Beh, sul
fronte “anastatico”, senza dubbio “Jumbo” e gli altri settimanali della SAEV,
tranne “L’audace” (1932/1938); “Robinson” Dopoguerra, la gran parte de
“L’avventura” Capriotti e poco altro: magari sarebbe interessante affrontare il
fumetto “umoristico-sperimentale” dei tardi anni Trenta e degli anni Quaranta,
da Scimmiottino a Cucciolo. Ma quanti affronterebbero spese non indifferenti
per acquistare, in copia, questi materiali? Dal lato “filologico”, la
situazione è un po’ peggiore: per restare al fumetto americano “classico”,
quello per cui in definitiva è nata l’editoria amatoriale, manca, per esempio,
Connie di Frank Godwin, mentre restano scoperti vari periodi di produzione
delle serie più classiche, come Cino e Franco e L’uomo mascherato.
Ma si impone anche una riflessione un po’ più approfondita,
che ai tempi d’oro dell’abbuffata è decisamente mancata. Il primo punto da
valutare è se possiamo ritenere soddisfacente tutta la messe (davvero non
indifferente) di produzioni amatoriali, ovvero se queste riedizioni possono
definirsi esemplari. Già nei capitoli precedenti abbiamo evidenziato come,
quasi sempre, gli editori amatoriali siano stati ben lontani dalla perfezione.
Un pregnante esempio può essere l’editore Camillo
Conti. Egli è, giustamente, considerato un esempio di precisione e accuratezza,
ma neppure tutte le sue serie sono inopinabili. Il suo fiore all’occhiello è
considerato la ristampa di Prince Valiant di Harold R. Foster. Tuttavia,
anche se Conti ha compiuto uno sforzo notevole, prima ancora che scendessero in
campo altri editori, americani ed europei, il suo Valiant è di piccolo formato
(che mortifica il lavoro di Foster) e approssimativamente ricolorato: scelta
comunque discutibile, perché sono sempre esistiti, anche prima dell’era dello
scanner, tecniche di fedele riproduzione cromatica. A problemi di questo
genere, che purtroppo sono comuni a tutti gli editori amatoriali italiani
(mentre case come la Kitchen Sink hanno sempre rispettato le cromie originali)
va aggiunto il non trascurabile dettaglio dell’esasperante lunghezza dei tempi
di pubblicazione: pensiamo al caso di Wash Tubbs, che fu il personaggio
d’esordio della Comic Art e la cui edizione italiana, dopo trent’anni, si è
arenata a metà strada, mentre l’americana NBM, partita molto dopo, ha da tempo
concluso l’edizione integrale di giornaliere e domenicali fino al 1943…
Considerato ciò, dobbiamo, prima di prendere in esame
cosa non è stato ristampato, ricordarci che spesso dovremo passare per buone
molte edizioni amatoriali già esistenti, ma che in realtà soffrono di difetti
spesso intollerabili.
Escludendo le produzioni italiane, che lo studioso
può sempre sperare di trovare in edizione originale e che, comunque, hanno
goduto e godono di più numerose ristampe, per la schiacciante vittoria degli
“anastatici” sui “filologici”, rimangono, come principali filoni, il fumetto
americano (ed in particolare quello sindacato, mediamente molto più valido dei
comic books) e quello francofono. Se pensiamo all’inedito in questi due
settori, scopriremo con estrema facilità che siamo ben lontani dal tutto
esaurito. Serie fondamentali come Alley Oop, Alix o Spirou, hanno
fatto solo sporadiche apparizioni. Non lasciamoci ingannare dalla rinascita
dell’interesse verso il fumetto francofono, perché l’apparizione in edicola di
volumi ben curati, non ci deve far dimenticare che, se mai la cosa avrà un
seguito, difficilmente si arriverà a ristampe di fumetti classici. E la
situazione è uguale per il sindacato. Anche se editori preziosi come i fratelli
Voltolina si sono dedicati alla ristampa di serie di minor notorietà, ma di non
minore qualità (hanno, ad esempio, iniziato a ristampare Hopalong Cassidy
di Spiegle), la cosa rimane assai limitata.
30. Gli ultimi fuochi. “E adesso, pover’uomo?” Alla fine, cosa rimarrebbe da proporre o riproporre agli appassionati? Verso un “nuovo corso”, dalla Comic Art ad Alessandro Pavesio & co. E poi, stringi stringi, è anche bello e sentimentale tornare alle origini...
All’inizio della prima puntata del nostro lavoro,
scrivevamo: “ Primo tempo: facciamoci trasportare alla fine degli anni
Cinquanta, e andiamo a curiosare all’edicola.” Beh, è arrivato il momento di
fare un’altra visita dal giornalaio, in un giorno qualsiasi dell’anno di Grazia
2001 (brrr!), l’anno dell’odissea nello spazio. Come sta la nostra fidata
cronosfera? Hummm... Il motore perde i colpi, la carrozzeria cade a pezzi. Come
lo facciamo, il nostro viaggio conclusivo? Ma a piedi, che diamine! Scendiamo
in strada, giriamo l’angolo e andiamo a curiosare nella nostra edicola
preferita.
Eccoci arrivati, ma... Dove sono i fumetti? Guardiamo
bene, non li avrà mica nascosti l’edicolante... Ci sono quintali di
videocassette, tonnellate di CD e CD-rom, riviste di tutti i generi e per tutte
le manie, dal giardinaggio alla musica in mp3. Ma dove sono finiti, i fumetti?
Diamine, nel nostro immaginario l’edicola è un chiosco dei sogni tappezzato di
albi e giornali! Eccoli, i fumetti: le riviste rimaste sono “Lancio Story” e
“Skorpio”; i Bonelli e i Disney frantumano le tirature in una polverizzazione
delle testate: tante, ma con poche copie, e rese a spron battuto. Una notevole
eccezione è quella dell’Eura: dei cartonati della serie Euracomix sono
usciti oltre 130 numeri, e la collana Euramaster propone storie francesi di notevole livello.
Perfino i manga e i bonelliani sono appartati in un angolino seminascosto. Dei
tempi dei tempi c’è rimasto solo “Topolino”; anche “L’interpido” non c’è più,
il “Corriere dei Piccoli” ha cessato le pubblicazioni già nel 1996, “Il
Giornalino” continua imperterrito; C’è sempre “Tex”, perbacco, che gode ancora
di ottima salute. Ma, come dire? Manca il “grosso”, ovvero la quantità di carta
stampata e fumettata che nutriva i sogni di ogni generazione. Sì, qualcosa è
davvero finito per sempre, meglio acquistare mesti il nostro quotidiano più o
meno farcito di riviste e supplementi vari e andare a risollevarci lo spirito
in una fumetteria. Se ne troviamo una ben fornita, naturalmente.
E così, ridendo e scherzando, siamo arrivati alla
fine del nostro lungo viaggio: trent’anni di gioie e dolori e montagne
altissime di carta stampata. È passato ormai oltre un quarto di Secolo da
quando il mercato delle “ristampe amatoriali” esplodeva con tutta la violenza
di un autentico fenomeno culturale: ci piace dedicare l’ultima immagine, a
corredo di questa nostra storia, al “certificato di nascita” del primo club.
Cosa rimane, adesso, all’alba del terzo Millennio, di tutta quella
straordinaria effervescenza? Se guardiamo al mondo “amatoriale” classico, ora
che ha chiuso la “Comic Art”, le iniziative ancora in campo si contano sulle
dita di una mano: Camillo Conti, Fratelli Voltolina… Il fenomeno è costituito
dall’Editoriale Mercury di Stefano Mercuri, che abbiamo già incontrato ai tempi
de “La striscia”: appassionato texiano, ha inondato il mercato con una enorme
quantità di iniziative bonelliane, scrupolosamente restaurate al computer e
colorate. Rispetta scrupolosdamente i programmi semestrali, come faceva nel ’72
Traverso, e in qualche modo è un punto di riferimento per gli appassionati di
quel particolare settore. Gianni Milone ha ereditato le sorti della Dardo e sta
specializzando la sua produzione con riporoposte di materiale italiano anni
Quaranta e Cinquanta e della Fleetway inglese; il Golden Comics Club dei
fratelli Piacentini insiste su Tex, riproponendo in varie edizioni il
personaggio. L’esercito del Sud è capeggiato dal siciliano Corrado Alessi e da
Mariano Caltabiano, dediti al ripescaggio d’antan. I loro cataloghi sono
introvabili come pezzi d’epoca, e molte cose sfuggono al lettore meno attento.
Lo facciamo, un nuovo catalogo completo dell’Amatoriale, a fenomeno
virtualmente concluso?
Ma, come accade alla fine delle migliori storie
sentimentali, è bello pensare che in qualche modo il mondo amatoriale, senza
rendersene magari conto, stia tornando alle epiche, indimenticabili origini,
quando la passione contava assai più del profitto (oppure il profitto abusava
della troppa passione...). In quest’ottica, diventano possibili cose sui cui
fino a qualche anno fa nessuno avrebbe scommesso un soldo bucato. Una fanzine
come il nostro “Notiziario” è un esempio di come si possa tornare, finita
l’abbuffata, a parlare di fumetti che ci piacciono fra persone che sanno di
cosa si discute. D’altra parte, i newsgroup e le mailing list di Internet
svolgono lo stesso compito, in maniera, se possibile, ancora più
disinteressata. Ma c’è chi è disposto a investire a fondo perduto anche cifre
consistenti. Gianni Bono, con “If”, svolge in pratica un ruolo di conservazione
della memoria storica che dovrebbe essere addirittura istituzionale. C’è di
nuovo spazio per iniziative quasi private: si potrebbe stampare “Connie”
dividendoci le spese tra veri appassionati (ma di questo parleremo
abbondantemente nel prossimo numero).
Siamo tornati a prima di Bordighera: di nuovo quattro gatti, di nuovo incompresi, ma con la stessa passione. È finito un ciclo? Forse, ma allora ne comincia sicuramente un altro. Teniamoci pronti. (7. Fine.)